Le loro unghie
raschiano la porta, stridono, mi penetrano nel cranio spaccandomi il
cervello.
Sono tanti, inaspettati, feroci.
Uno di loro è mio, o almeno lo è stato per un po’ di tempo, adesso non so
più di chi sia.
Sento i loro denti, piccoli e acuminati che battono all’unisono.
Un ritmo lento, cadenzato e ossessivo:
Tic, tic, tac.
Non resisto, adesso aprirò la porta, ma loro non m'avranno.
Ho perso tutto, mi è rimasto solo questo diario.
Il mondo come l'ho sempre conosciuto non esiste più, ma loro non mi avranno.
Il tutto è cominciato con una notizia inattesa ma carica di gioia. Io
all’epoca ignoravo che tale evento accomunasse milioni di persone, e
sinceramente non me ne sarebbe importato nulla comunque.
Io e Marta ci trasferimmo subito qui, nella nostra casa di campagna. Io di
mestiere faccio lo scrittore e volevo isolarmi dal mondo per completare il
romanzo che mi avevano commissionato.
Niente televisione, niente radio, cellulare spento, nessun vicino di casa.
Solo silenzio bucato dall’intermittente frinire dei grilli.
E adesso:
Tic, tic, tac.
Venni a sapere cos’era successo solo quando telefonai all’ospedale dove
avrei dovuto portare Marta, ma ormai era tardi.
Tardi per tutto, per il mondo, per Marta e per mio figlio.
Nacquero tutti nello stesso momento, squarciarono il ventre delle loro madri
e se ne cibarono.
Marta guardava la sua creatura mentre la divorava, aveva uno sguardo strano.
Non era terrore, e nemmeno dolore, era solo amore.
Anch’io dovrei aprire quella porta per amore? Per mio figlio? Per il nuovo
mondo?
No, non riesco a provare niente per quei neonati bastardi dalla bocca
sanguinante.
Mi divoreranno, mi succhieranno il sangue, e comunque, anche se il mio odio
velenoso non gli dovesse far scoppiare le viscere, non mi avranno mai, non
avranno mai il mio amore.