Cominciava a far buio. Con un cenno, il maresciallo fece accendere le luci.
Stancamente, si girò a guardare l'uomo magro ammanettato, seduto in silenzio
davanti alla sua scrivania, con i due poliziotti ai fianchi che lo
sorvegliavano. Ancora una volta si stupì di non trovarlo nervoso o confuso.
Appariva forse solo appena affaticato. Gli avevano fatto ripetere per ore le
stesse cose.
Il maresciallo si sfilò gli occhiali e lo fissò. L'uomo non sfuggì il suo
sguardo, ma nemmeno intese sfidarlo. Semplicemente guardò senza vedere, assorto
in qualche suo pensiero.
Il maresciallo si alzò in piedi.
“Va bene. - disse, massaggiandosi gli occhi - Basta con le
domande. E' fin troppo chiaro che non parlerai. D'accordo. Ma toglimi solo una
curiosità. Una curiosità mia, personale. Dimmi: perché tanta differenza nei due
omicidi? Io non credo si sia trattata di una scelta dettata dalle circostanze. E
nemmeno di una mera casualità. - Fece una pausa, durante la quale parve cercare
le parole - Voglio dire: per quale motivo hai ucciso Cannone spaccandogli il
cranio con una pietra, e hai invece trafitto Valentino con uno stiletto? Potevi
ucciderli entrambi nello stesso modo (generalmente è così che agiscono gli
assassini), ma tu non lo hai fatto. Perché?”
L'uomo sollevò lentamente la testa. Fissò il maresciallo negli occhi,
percependone, questa volta, l'autentico desiderio di sapere, qualcosa che non
aveva niente a che vedere con gli obblighi del suo mestiere.
“Questo posso dirlo.” Concesse alla fine, non senza un filo di sarcasmo.
Il maresciallo fece con il capo un cenno che era insieme un invito a proseguire
ed un ringraziamento.
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“Cannone era una bestia ottusa. - Prese a spiegare l'uomo, scandendo con
chiarezza ogni parola - Sordo e tetragono ad ogni genere di ragionamento. Con un
mattone (lei lo ha conosciuto, maresciallo, lei lo sapeva) al posto del
cervello. Brutale oltre ogni dire. L'ho ucciso utilizzando un'arma altrettanto
stolida e pesante. - Sorrise - Per Valentino il discorso era diverso. Quell'uomo
era scaltro, astuto, ingegnoso. Tagliente nel suo acume. Mi è parso giusto
saldargli il conto con qualcosa di ugualmente aguzzo e penetrante.”
L'uomo tacque e abbassò nuovamente il capo, ritornando d'un tratto indifferente.
Nella stanza scese un silenzio che al maresciallo parve fisicamente doloroso.
Si affacciò alla finestra. Guardò la strada innevata. I lampioni cominciavano in
quel momento ad illuminarsi, tingendola di un lucore rosato. Gli era rovinata
addosso la stanchezza, ma lo sfinimento era nulla a confronto di quell'improvviso
penoso vuoto che avvertiva nel cuore.
“E a me? - domandò infine senza voltarsi, con voce che avrebbe desiderato più
ferma - Cosa avevi riservato a me?”.
L'uomo fissò la schiena imponente del maresciallo che riempiva il vano della
finestra. Chiese: “E' sicuro di volerlo sapere?”.
“Sì. Anche se forse - bada bene, dico forse - non te lo chiederei se non
fosse tutto finito.”
“Ma non è tutto finito. - Sogghignò l'uomo - Lei, maresciallo, è uomo di
ragionamento, di invidiabile chiarezza di pensiero; di meticolose, graduali,
inesorabili deduzioni (No, non lo neghi. Che senso avrebbe negare a questo
punto?). Lei segue il corso dei fatti vivendone ogni punto, ogni attimo, ogni
sottinteso. E lo fa con naturalezza, senza forzare, con incrollabile pazienza,
con fatalismo. Lei accetta e attende il naturale succedersi degli avvenimenti
con uno stoicismo ed un rigore che sono ad un tempo la sua forza e la sua
debolezza. E forse anche il suo orgoglio. - Ridacchiò, ma parve quasi che avesse
digrignato i denti. - No maresciallo, lei non mi è sfuggito, lei è più che mai
nella mia rete (ed è una rete, questa, che non si può spezzare). Lei morirà un
giorno dopo l'altro, un poco per volta, consapevolmente, spiando lucidamente i
progressi della sua propria agonia. Lei morirà della lenta morte che consuma
ognuno di noi dal giorno della nostra nascita. E' brutta la vecchiaia,
Maresciallo! ... Così avevo stabilito, così sarà.”