Stava bussando insistentemente da dieci minuti buoni.
Finalmente, la porta si aprì, rivelandogli la figura inebetita di una donna, che stava ritta sulla soglia, stringendo la maniglia con la sinistra, mentre nella mano destra reggeva in maniera malferma un mestolo.
La padrona di casa, che indossava un grembiule ricoperto da macchie d’olio, grasso e sugo, lo fissava con un unico occhio assente. L’altro occhio ballonzolava fuori dall’orbita.
Lui la osservò per qualche istante, le sorrise, le rivolse un caldo “buongiorno”. Poi sollevò verso di lei la pistola ed esplose un solo, preciso colpo, che le fracassò il cranio. Schizzi di carne putrida andarono a sovrapporsi alle altre chiazze che costellavano il grembiule.
Entrò in casa, scavalcando il corpo della donna, e avanzò fino al soggiorno, dove un televisore acceso stava sparando a tutto volume la cronaca di una partita di football. Aggirò il divano posizionato di fronte all’apparecchio televisivo, e si trovò davanti, stravaccato fra quelle imbottiture, un uomo panciuto, pelato, in canottiera, che impugnava una lattina di birra in una mano e il telecomando nell’altra. Il volto era venuto giù per metà, penzolando grottescamente dal mento.
L’uomo quasi non reagì alla sua presenza, accennando solo un grugnito di fastidio quando lui, arrestandosi di fronte al divano, gli schermò la visuale del televisore.
Lui salutò cordialmente anche l’adiposo teledipendente, e piantò una pallottola in quella mezza faccia. Grumi di materia cerebrale piovvero sulla canottiera.
Uscì, attraversò il giardino e montò sulla macchina ferma in fondo al vialetto. Mentre metteva in moto, si girò, a guardare la donna seduta lì accanto, che era rimasta ad aspettarlo.
“Visto?”, le disse. “Ci sono venuto dai tuoi genitori. Proprio come ti avevo promesso. Ora possiamo sposarci”.
Lei si chinò, a poggiargli affettuosamente il capo su una spalla.