Il faro

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2005 - edizione 4

Quello che era successo era sconosciuto forse anche a Dio.

 

L’uomo era sudato, i vestiti logori si appiccicavano alla sua pelle: un miscuglio di sangue e sudore. Nella mano sinistra, un fucile.
Stava salendo le scale del faro.
Affannava.
La cittadina era andata oltre. Le persone, almeno quelle che sopravvivevano in condizioni decenti, si erano tramutate in mostri.
Adesso, quelli che molti chiamavano zombie, ma che lui preferiva chiamare morti senza sonno, stavano facendo a pezzi persone, per semplice gusto di ucciderle.
Se voleva rimanere vivo, doveva raggiungere il controllo della luce del faro ed attivarla, nella speranza che la nave militare ancorata da qualche giorno al largo, vedendola, potesse salvarlo.
Fu in quel momento, che una mano gli agguantò la caviglia. Il cuore sobbalzò nel petto.

Sotto di lui un morto senza sonno lo guardava con occhi spenti, ma assetati di sangue. Dalla bocca non usciva nessun suono. Si accorse che aveva la gola completamente aperta, probabilmente dal morso di un altro come lui.
L’altra mano dell’essere lo agguantò al polpaccio.
L’uomo ritrovò il coraggio e gli puntò il fucile dritto alla faccia.
Fece fuoco.
L’essere venne letteralmente spazzato via, il volto maciullato. Il suono, nel silenzio del faro, rimbombava da una parete all’altra.
Raggiunse il quadro elettrico. Con mani tremanti, azionò la leva che permetteva di accendere la luce. Un ronzio vibrò nell’aria e la luce si accese. Forse la fine era vicina.

 

Cinque ore dopo, la nave militare si mosse in direzione del faro. L’uomo sorrideva, convinto che quella follia potesse avere finalmente una fine.
Non poteva sapere che tutto era partito da quella nave. Da un esperimento finito male. E non poteva sapere che quella nave era piena di morti senza sonno.

 

Quello che stava per succedere era sconosciuto forse anche a Dio.

Alessandro Pieralli