Primavera, Aprile. Anno imprecisato.
Il cielo era magnifico, libero da nuvole al centro, velato appena nella
parte inferiore da uno strato sottile di polvere luccicante. Stelle a grappoli, e onde
lievi a levigare il grande cristallo: la luna si cullava tra gli scogli, e foglie
sagitavano, tentennavano, percorse da refoli di vento sottile.
Luce lieve, onde, piccole e schiumose, suoni ignoti si liberavano nellaria colma di
profumi, e la spiaggia appariva desolata e silenziosa. Solo il mio dolore, quello sentii
scorrere, una sensazione nuova, e la consapevolezza che senza di lei avrei perduto la mia
essenza, io smarrito, io follia, lalieno.
Ricordai con nitore gli ultimi istanti della conversazione, il viso di lei, quegli occhi
sinceri e profondi, il suo passo leggiadro, le mani piccole e ben curate. Sentii il suo
profumo, agonizzai nel respiro del suo cuore. Il cielo era ancora magnifico, e il vespero
si diluiva nelle pozzanghere, subito dopo la pioggia, quella pioggia lenta che martoriava
la spiaggia e feriva a morte lanima mia.
I pensieri oscillavano nel vuoto, istanti, laddio, e ancora i suoi occhi neri
profondi e le sue parole intrise di nulla, cattivi presagi, già allinizio, mentre
le sue labbra si muovevano ritmicamente, sembravano fuochi fatui, ed io non ascoltavo,
inseguivo invece il volo delle rondini nellaria umida e malaticcia.
È finita: non posso continuare ad amarti, disse lei, allungando lo sguardo
oltre lorizzonte.
Io immobile, essere fragile, cristallo che si frantuma e si ricompone, io adesso ombra a
ridosso dellombra, parvenza, lacrima del cielo.
Riuscii a sussurrare qualche frase distratta, per tentare di farla ragionare, sperando che
lei cambiasse idea, ed intanto osservavo i suoi capelli frammentarsi tra le onde, il suo
viso colare dalle rocce, il cuore esploderle tra i seni, ed io immobile, lontano in uno
spazio racchiuso nellevanescenza, dentro parole senza significato, ancora solo, scia
di luce in agonia, acquerello.
Io ti amo, Annette: non posso vivere senza di te.
Lei rimase impassibile, con gli occhi persi nel vuoto, raccolta dentro una veste
attillata, mentre un pezzo di cielo svaniva nel blu cobalto del mare, e la mia anima
delirava, occhi accesi e spettri nel cuore.
Sento una nuova melodia, musica, amore, nuovo e fecondo respiro, unaltra
emozione oltre, oltre il tuo viso: non posso più amarti, continuò lei, sbattendo
le palpebre.
Ma..., risposi, mentre da lontano loceano brillava, al centro, a cento
passi dal molo e le onde rincorrevano i gabbiani, per laria salivano, sembravano
spruzzi di luce in miniatura.
Non cè sentore deternità nelle passioni, e ogni anelito è sogno di
carta, desiderio destinato a perire, incertezza, falsità, ombra a ridosso
dellombra: lamore si svela, sallunga tra le ali del vento, diviene
delirio, poi al tramonto socculta e scompare. Nulla è certo nellincertezza,
nulla che possa durare per leternità, tutto è destinato a perire, frammento,
goccia di rugiada che al mattino svanisce, quando il primo raggio di sole con forza ne
dissolve la traccia.
Annette, ti prego, balbettai con gli occhi colmi di lacrime.
È finita, è tempo che io regali laltra metà del mio cuore. Ancora una
volta: addio.
Rimasi immobile, luna e luci oramai svanite, la sera che si cullava, il
dolore sentii scivolare nel cuore, e il vento vidi alitare, mentre a grappoli le stelle
già depositavano luce tremula, e gocce sulla sabbia smarrivano la traccia.
Annette! gridai, nel disperato e vano tentativo di farle cambiare idea.
Un oceano di silenzio oltre il molo, qualche barca, e il cielo intanto fagocitava le
ultime stelle, e luragano sapprossimava, gonfio il mio cuore di tragedia.
Non cè sentore deternità nelle passione, gridò lei da lontano,
ed io ad osservare le onde tramutarsi in angeli e gli angeli oscillare e frantumarsi e
riapparire, lontano, in un luogo che sogno non è, né realtà, un striscia
dincertezza che spesso si confonde, ci confonde, ci turba.
Leco di una voce solitaria, un gabbiano, lurlo del vento, poi luragano.
Rincasai quando era notte fonda. Dopo il canneto il fiume, qualche stella sospesa sugli
steli, il mio dolore e la stradina illuminata, poi aprii la porta, accesi la luce e mi
buttai sul divano.
Le pareti sembravano di burro, e laria allinterno era irrespirabile.
Aprii la finestra e buttai locchio distrattamente oltre il davanzale. La luce dei
lampioni si sdraiava esile sulla strada, e solitudine correva lungo i marciapiedi.
Richiusi la finestra con forza, girai i tacchi e mincamminai con passo spedito verso
la cucina.
Vidi una Ballerina di Vetro sostare immobile sopra la credenza. Un attimo di titubanza,
poi adagiai tra le gambe la bottiglia: il tappo esplose nellaria con fragore,
liberando un suono stridulo e colmo di disperazione. Afferrai un bicchiere: particelle,
sogni in miniatura, il passato, tutto in un attimo svanì nella gola ed anche il mio
dolore, scivolò dentro, lentamente, inesorabilmente.
Non cè sentore deternità nella passione: il mio
cuore chiede un altro amore.
Presi la bottiglia, la rigirai delicatamente tra le mani, poi, stringendola con passione,
cominciai a buttar giù quel nettare divino. Un sorso, ancora, ancora uno, fino a quando,
trascorso qualche minuto, di quel liquido dorato nella bottiglia non rimase alcuna
traccia.
Alzai verso lalto la bottiglia, e guardai attentamente il fondo: solo trasparenze
vidi, e il viso di lei oscillare dentro, mentre il cielo allesterno era adesso
talmente espressivo che si poteva racchiudere tutto in un solo respiro.
Addio.
Ancora lei, il ricordo di quella voce querula.
Rimasi immobile, io frammento di luce, goccia in agonia, e in quella notte avara
demozioni persi gli ultimi pensieri.
Ancora, non cera tempo per pensare, né ordine da custodire, né sogni da inseguire:
il desiderio era svanito sulle ali delle comete, e a parte quel triste ricordo che
ignobile saltellava nella stanza, nullaltro era rimasto a farmi compagnia.
Unaltra bottiglia rigirai tra le mani, lucida, altera nella sua ignobile bellezza.
Aprii la finestra: il tappo esplose ancora con fragore.
Un sorso, due, poi ancora uno. Adesso le pareti oscillavano e il ricordo di lei fluiva
lento. Sussultò ancora il mio cuore, e disperazione frammista a nebbia sottile invase la
stanza.
Lultimo sorso, poi il cielo svanì. Silenzio intorno, qualche stella, la nebbia che
fitta invase la stanza.
Caddi sul divano, e sogni di carta presero il sopravvento.
Aprile. Due anni dopo
È splendido il cielo questa mattina, lieve il respiro del vento, le
rondini volano basse, e la spiaggia brilla come uno smeraldo. Il mare sapre alla
luce, delicatamente, in questo mattino inconsueto e le onde danzano e, schiuma brillante
traversa il molo. Laria profuma di salsedine, libera scorre tra i cespugli, e il
senso dellesistenza socculta e traballa: oltre lorizzonte riesplode,
quasi luce appare, ma solo un attimo, è solo un frammento, un dolore, il mio, quello di
sempre.
Sono solo, perduto in un ricordo che lacrime calde racchiude; apro gli occhi, sbadiglio, e
locchio butto distrattamente oltre il molo.
Il mio cuore rincorre un altro amore.
Il ricordo di lei massale, oscilla appena la sua ombra, la vedo in lontananza. Mi
alzo in piedi, traballo, nulla intorno, a parte un velo di nebbia, il solito mare, la
spiaggia e unaltra bottiglia.
Gli amici si sono allontanati, ed anche la mia vita appare lontana, sento qualcosa che
mappartiene, il suo respiro, poi tutto svanisce, nellombra. Oltre il molo
intravedo qualche pescatore armeggiare con le reti, ancora il sole, la solita spiaggia e
le rondini.
Di me non è rimasta traccia. Ho smarrito il passo dellesistenza, il dolore è
rimasto, ruvida la mia pelle, i pensieri intorpiditi, il corpo flaccido, avvolta
lanima mia di filo spinato.
Cè un piccolo bar vicino al molo. La costruzione è bassa, semplice nella sua
desolante architettura; le pareti allinterno sono colorate di rosa pallido, e sedie
di vimini circondano il bancone. Il mio amico Sprizz conosce tutti i suoi clienti, con
garbo li tratta, saluta con educazione, e ad ogni cenno, versa il solito liquido.
Sprizz, ad ogni mia fugace apparizione, scrollando il capo, usa sempre la solita
espressione.
Dovresti smettere di bere, mio caro.
Io allungo un sorriso distratto, prendo il bicchiere tra le mani, e senza pensare butto
giù tutto dun fiato quel nettare divino.
Non puoi continuare così, amico mio.
Sorrido ancora, e il mare oltre la finestra traballa, e lodore di salsedine penetra
nelle narici.
Un altro bicchiere, ancora uno, un altro ancora.
Sono le tre del pomeriggio, amico mio.
Ho ancora i suoi occhi incollati al mio cuore, balbetto, rivolgendomi a
Sprizz.
Il mio amico appena sorride, con gli occhi lucidi e il viso ampio e luminoso.
Dovresti smettere di bere e dimenticare, risponde lui; e tristezza traballa in
quegli occhi intelligenti.
Sono anchio di marmo, oramai non ho altro da fare, a parte bere e inseguire i miei
sogni, altro non odo, vento, fantasmi, non uno ma una moltitudine, sospesi a fluttuare tra
le nuvole.
Il mondo si è capovolto.
Sprizz, per favore, dammi la solita bottiglia, chiedo, cercando nelle tasche
gli ultimi spiccioli.
Lui mi guarda, tentenna, si caccia sotto il bancone, e prende unaltra bottiglia.
Cè sempre lombra, Sprizz ?, chiedo ridendo.
È sempre la solita, amico mio, quella che ti condurrà per mano verso la
morte.
Ciao, Sprizz
A presto, amico mio, risponde lui con gli occhi tristi.
Il cielo è limpido, aria lieve gira intorno alle cose e la spiaggia riluce come uno
smeraldo.
Mi siedo sul molo, tolgo linvolucro di carta, prendo tra le mani la bottiglia.
Un sorso ancora, lultimo, prima di rincorrere con lo sguardo una rondine solitaria,
mentre gli spettri oscillano, loceano, e gli occhi di lei che sguazzano tra le onde,
e io sono lontano, non uno, ma una moltitudine di ombre e lei non cè, non verrà,
mai ritornerà ad ascoltare lurlo disperato del mio cuore.