Il rumore
della scavatrice era percettibile anche dall'entrata del cimitero. Caterina entrò nel
tetro luogo ed osservò il proprio orologio che segnava le cinque e ventotto minuti di un
caldo pomeriggio di novembre. Al suo fianco Tommaso volgeva lo sguardo in ogni direzione,
mentre Matteo teneva in mano un mazzo di fiori.
Rapidamente salirono una piccolissima rampa di scale che divideva la parte superiore da
quella inferiore del cimitero. Ma ugualmente una distesa di tombe si aprì davanti ai loro
occhi, che solamente a tratti venivano interrotti da alti cipressi. Alla loro destra la
scavatrice continuava il proprio lavoro.
Erano stati chiamati qualche giorno prima chiedendogli di andare al cimitero perché quel
giorno avrebbero disseppellito la salma del loro piccolo Antonio per metterla
nell'ossario. Avevano già svolto tutte le pratiche burocratiche al comune ed avevano
acquistato una nicchia per contenere le ossa nell'apposito spazio del cimitero.
Antonio era morto quindici anni prima e dopo la morte del ragazzino i coniugi Caterina e
Tommaso Finelli, non avevano avuto più figli. Quando era avvenuto l'incidente stradale
che aveva ucciso il loro bambino, Antonio aveva sette anni.
Caterina non se l'era sentita di andare sola con il marito al cimitero e così aveva
chiesto al fratello Matteo di andare con loro. E Matteo non aveva rifiutato.
Giunsero alla scavatrice, che imperterrita continuava nel proprio laborioso lavoro. Vi
erano due addetti, vestiti entrambi con una tuta blu: un uomo dirigeva la scavatrice,
mentre l'altro aveva il delicato compito di togliere i pezzi di bara ed estrarre le ossa
dei defunti.
- Dieci minuti e serviamo anche voi...- disse l'uomo sulla scavatrice osservando i volti
tristi dei tre; nonostante questo scoppiò a ridere.
E furono meno di dieci minuti. La lapide dal terreno era già stata rimossa in precedenza e fu mentre la scavatrice si spostava, che Matteo notò due strane cose: sulla lapide del piccolo Antonio vi era infatti una grande croce diagonale in vernice rossa (ormai scolorita, quasi come se fosse stata fatta molto tempo prima) e la seconda cosa che notò fu un uomo anziano che con notevole interesse osservava i lavori dal porticato della cappella. Capì immediatamente, per come era vestito, che quello era il custode del cimitero.
Il sole stava ormai tramontando dietro le verdi colline fiorentine,
quando la scavatrice iniziò ad intaccare il terreno; era una stagione dove ormai le
giornate erano cortissime. Non appena il braccio metallico della scavatrice fu penetrato
nella terra, udirono un grido di diniego provenire dalla cappella. Matteo, che nel
frattempo aveva depositato i fiori accanto alla lapide intuiva chi aveva emesso quel
grido.
E aveva intuito benissimo: infatti l'uomo, piccolo e grassoccio che aveva visto in
precedenza, si stava avvicinando correndo alla scavatrice. Pochi istanti dopo era vicino
alla macchina e sbraitava contro il conducente del veicolo, che per il rumore non aveva
avvertito il grido.
- Smettetela... vi prego, lasciate quel corpo dov'è! E' pericoloso...- l'uomo, che non
aveva ricevuto attenzione dall'uomo in tuta, si era allora rivolto agli altri. Caterina e
Tommaso lo guardarono sbigottiti, Matteo andò oltre e notò la maschera di paura che
risiedeva nel volto dell'uomo. Sentiva il suo respiro affannato e vedeva le sue mani che
tremavano.
- Pensaci tu Carlo...- disse l'uomo che conduceva la scavatrice all'altro, un ragazzo
robusto ed alto, con già pochi capelli in testa e due spalle larghe. Annuì e prese per
un braccio il custode.
- Vieni, vecchio ubriacone. Così spaventi solamente la gente che soffre...- videro
chiaramente come stringeva quel piccolo braccio e furono disgustati quando videro l'uomo
che veniva trascinato via.
Non avvertirono altro delle parole che Carlo disse al custode, ma sentirono chiaramente la
voce sinistra con cui quest'ultimo pronunciò una strana frase priva di senso:
- E' quasi il tramonto...lasciate stare quella salma...E' prescelta...- poi non furono in
grado di carpire più nessuna parola, perché il custode venne condotto all'interno della
cappella. L'uomo che conduceva la macchina, un certo Giovanni Mestrelli, non seppe che
cosa dire e preferì stare in silenzio, sperando che la scavatrice parlasse per lui. Poco
dopo tornò anche Carlo ed ormai il sole era tramontato del tutto e il braccio della
scavatrice aveva appena incontrato il legno rimasto della bara.
Carlo indossò i guanti gialli e prese un contenitore per le ossa del piccolo Antonio. Poi
si munì di vanga e piccozza e si apprestò a scendere nella fossa. Nel frattempo Giovanni
aveva spostato la scavatrice di qualche metro, pronto per un'altra fossa.
Ma Carlo si fermò sul ciglio della fossa quando vi gettò dentro lo sguardo: attrasse
anche gli altri, tranne Giovanni, per far notare come stranamente la bara fosse rimasta
praticamente intatta. Lo lasciò passare quasi come per un fatto anomalo, ma la sua mente
stava rimuginando perchè quello era qualcosa di più; in dieci anni di quel maledetto
lavoro non era mai venuto a contatto con niente di così strano.
Una volta dentro la fossa, però ogni problema svanì ed iniziò ad intaccare la bara con
violenti colpi di piccozza. Alcune schegge di legno volarono nell'aria, altre rimbalzarono
contro le pareti della fossa.
Ormai il cielo stava cambiando vestito e i coniugi Finelli sembrava avessero troppi
pensieri per pensare a quello che stava accadendo. Ma Matteo tornò a volgere più spesso
lo sguardo attorno a sé e così vide le tombe, le lapidi, i volti dei suoi due parenti,
l'adesivo rosso sul braccio della scavatrice che intimava di stare distanti (e che nessuno
rispettava) e vide la luna, che iniziava ad essere visibile.
Carlo si sollevò poco dopo; si asciugò il sudore dalla fronte, sorrise a Matteo, che era
l'unico che lo stesse osservando e poi tornò a vibrare colpi sulla bara. Lo strato
superiore del legno era stato eliminato, adesso rimaneva solamente l'intelaiatura e poi
sarebbe stato al cospetto di quel che rimaneva del piccolo Antonio. Ma i primi dubbi sulle
condizioni del cadavere già iniziavano ad instaurarsi nella sua mente.
Giovanni lasciò i comandi della scavatrice solamente per un attimo, per accendersi una
sigaretta e nel momento esatto che lo fece vide che il vecchio Michele, il custode del
cimitero, era tornato a guardare i lavori che erano in corso dal porticato. Ma non ci
badò molto e riprese i comandi poco dopo.
Carlo diminuì l'altezza della piccozza, perchè credeva che quello sarebbe stato l'ultimo
colpo, dopo il quale avrebbe avuto accesso all'interno della bara. Vibrò il colpo,
eliminò il telaio e rimase sconcertato per la seconda volta nel termine di poco tempo,
per quello che vide.
Matteo non fece in tempo ad osservare il contenuto della bara, perchè rapidamente Carlo
lasciò cadere tutti gli strumenti, si eresse con tutta la sua mole e sgattaiolò fuori
dalla fossa. Ma gli occhi di Matteo lo seguirono; lo videro avvicinarsi al braccio ed
iniziare a sbraitare contro Giovanni, concentrato sul proprio lavoro.
- Il corpo del ragazzino... il corpo...- stava gridando queste frasi, sotto lo sguardo
immobile di Caterina e Tommaso, quando Matteo si accorse che forse era troppo vicino al
braccio della scavatrice.
Giovanni aveva mantenuto i propri occhi ancorati al terreno che stava smuovendo e non
aveva prestato molta attenzione a Carlo; ma quando lo fece lasciò i comandi. Era
un'azione che faceva abitualmente, perchè gli permetteva di mantenere il braccio in uno
stato di equilibrio.
Ma questa volta non accadde: infatti il braccio della macchina dapprima si spostò a
sinistra e poi svoltò a destra, colpendo in pieno Carlo che stramazzò al suolo. Giovanni
fu lesto nel mettere le mani sui comandi, ma si terrorizzò quando vide che non
rispondevano più ai suoi ordini. Provò a muovere le leve, ma senza successo. Il braccio
poi, sempre continuando il suo movimento oscillatorio lateralmente, ne iniziò uno anche
verticalmente. E quello fu fatale per Carlo: iniziò da sinistra la progressione della
macchina per poi spostarsi verso destra rapidissima. Pochi istanti dopo le tre punte in
ferro del braccio della scavatrice perforarono in pieno il torace di Carlo, che giaceva al
suolo. Il sangue iniziò ad uscire a fiotti e il braccio, che continuava a trascinarsi
dietro il corpo, iniziò finalmente a fermarsi.
Terminò il proprio movimento pochi attimi dopo.
Nel silenzio del cimitero Giovanni si buttò fuori dall'abitacolo. Aveva un volto
pallidissimo e tutta l'arroganza e la sicurezza che lo aveva contraddistinto pochi attimi
prima, erano scomparsi.
Caterina e Tommaso si erano stretti uno addosso all'altro, ma non sembravano rientrare
negli schemi di quella storia.
- Ma... ma... che cosa voleva... dirmi. Cristo! Ho ucciso Carlo... Cristo!- non riusciva
ancora a rendersi conto di quello che era accaduto.
- Stava... stava parlando del corpo di... Antonio.- Matteo rimase piuttosto calmo, anche
se i suoi occhi sembravano sul punto di uscire fuori dalle orbite. Ma non appena ebbe
pronunciato quel nome i suoi occhi piombarono su Tommaso e Caterina.
I due fecero qualche passo dando le spalle a Giovanni, mentre Matteo osservava dentro la
bara. Inizialmente non comprese quello che poteva aver suscitato quella reazione, ma
quando collegò a quanto vedeva la sua mente, capì. E capirono anche Caterina e Tommaso:
il corpo del bambino era pressoché integro; proprio come l'ultima volta che, quindici
anni prima, lo avevano visto. Sembrava quasi che in quella bara il tempo non fosse
passato.
Matteo si passò una mano nei capelli e i suoi occhi caddero sui volti atterriti e
incantati degli altri due spettatori. Era il loro bambino quello e dopo quindici anni,
come il ricordo viveva nella loro memoria, l'avevano rivisto.
Poi Matteo spostò più indietro lo sguardo ed aggrottò la fronte: Giovanni non c'era
più. Inizialmente credette ad un attacco di vigliaccheria, paura per una condanna che
poteva scaturire da quel fatto, ma quando vide la pozza di sangue a terra, il suo corpo si
paralizzò ed iniziò ad avvertire anche il suo cuore che batteva a mille.
Un leggero vento proveniente da est si sollevò lento ed iniziò a far oscillare le cime
instabili dei cipressi. Regnava il silenzio in quel cimitero. Tommaso e Caterina erano
ancora in contemplazione della tomba.
I suoi occhi quindi puntarono lontano, alla cappella; lì incrociarono lo sguardo di
Michele il custode. Dopo un pò prese a scuotere la testa, ma non sembrava avesse la
minima intenzione di muoversi.
Riassunse quello che aveva visto: la lapide segnata, la bara intatta, il cadavere di suo
nipote integro come quindici anni prima, un morto, un uomo scomparso ed una pozza di
sangue. Stava accadendo qualcosa di troppo strano e i suoi sensi fiutavano il pericolo.
Si mosse. Lentamente stava nuovamente tornando calmo, mentre i coniugi Finelli non
smettevano un secondo di contemplare il cadavere.
Ormai era sera e la luce iniziava a scarseggiare seriamente.
- Vado un attimo dal custode...- Matteo pronunciò quelle parole solamente come per una
specie di rito, sicuro che gli altri due non lo avevano minimamente sentito. Non ragionava
in quel momento, la paura era tanta e solamente in seguito si rese conto di aver fatto una
sciocchezza a lasciarli soli.
Ma in quel momento credeva che solamente il custode avrebbe potuto dargli una spiegazione
e così si incamminò di buon passo verso la cappella.
I suoi passi rintoccavano atoni sull'asfalto e il sangue martellava frenetico nella sua
mente. In quel momento vi era una strana luce, quassi irreale che stagliava dallo sfondo
delle colline e sembrava ritagliare cose e persone.
Pochi attimi dopo era davanti al custode. Vide il volto bianco dell'uomo e notò la paura
che in esso viveva.
- Che cosa sta accadendo?- chiese Matteo. Il tono della sua voce risultò rotto ed
insicuro.
L'uomo lo guardò a lungo prima di parlare, ma non distolse mai lo sguardo dai suoi occhi.
- E' stato commesso un errore. Quella tomba non andava aperta e quella salma non doveva
essere esumata...- l'uomo dimostrava invece la propria paura anche nel tono della voce.
- E perchè mai?- Matteo era risoluto ad andare fino in fondo a quella storia.
- Perchè Lui non voleva. Il ragazzo era stato prescelto.- questa volta pronunciò queste
parole con incredibile solennità.
- Ma chi diavolo è Lui?- c'era della sprezzante ira nel tono della sua voce.
L'uomo prima deglutì, poi distolse gli occhi da quelli di Matteo e li puntò più
lontano; Matteo vide il terrore che si disegnò sul volto dell'uomo, quindi notò
un'espressione alquanto ambigua: Michele abbassò infatti lo sguardo e il suo volto
assunse un atteggiamento quasi di riverenza.
Matteo era gelato e faceva fatica anche a voltarsi. Quando lo fece esaurì in quel gesto
tutto il proprio coraggio e sentì il mondo cadergli addosso quando non vide più Caterina
e Tommaso. Fu assordato dal silenzio del cimitero e la paura che aveva dentro si
trasformò in panico; la luna fece capolino da una solinga nube. Gli occhi di Matteo
tornarono a volgersi ovunque, aveva l'impressione che adesso vi fosse qualcuno all'interno
del cimitero, qualcuno che fino a pochi attimi prima non c'era.
Era ancora sul ciglio del piccolo viale che attraversava tutto il cimitero, quando
avvertì alla sua destra un rumore simile a quello di una palla che rotola. Il suo sguardo
rapidissimo si diresse in quella direzione. In seguito il sangue parve fermarsi e
solidificarsi e ogni movimento diventare difficoltoso: infatti da dietro un cipresso era
rotolata una testa. E quando trovò il coraggio necessario per osservarne il volto, vide
che era quella di sua sorella. Il mondo prese rapidamente a muoversi vorticosamente, ma
lentamente trovò anche la forza necessaria per fermarlo.
Ancora nervi e tendini erano visibili, ma notò anche che il taglio che aveva reciso il
collo era stato netto. Il volto di sua sorella al momento della morte sembrava raffigurare
perfettamente paura e sorpresa.
Aveva voglia di rimettere, ma con un'incredibile sforzo si trattenne. Diede un ultimo
sguardo alla testa (ancora scorreva il sangue) e poi si voltò verso il custode.
- Che cosa diavolo sta accadendo?- questa volta l'ira repressa era scoppiata come una
bomba ad orologeria.
L'uomo fece un passo indietro, poi parlò:
- Vi avevo avvertito di lasciar stare la tomba... Lui aveva scelto il ragazzo... comunque
manca poco. Scappa finché sei in tempo!- l'uomo urlò quelle ultime parole, poi si voltò
e scappò all'interno della cappella. La luce era scarsa in quella zona a causa dell'ombra
creata dalle colonne del porticato, ma a Matteo bastò ascoltare il rumore della porta che
sbatteva, per capire che l'uomo si era chiuso dentro.
Alzò lo sguardo al cielo, quasi come a chiedere aiuto, poi si voltò di scatto non appena
udì un rumore dietro di sé. Quando si fu voltato i suoi occhi furono mandati
direttamente verso la zona della scavatrice.
E fu allora che vide suo nipote: infatti il corpo del ragazzino si era alzato a sedere
nella bara. Fece qualche passo verso quella direzione.
Ormai il cielo aveva indossato la camicia da notte e la sagoma oscura della scavatrice
appariva quasi come la carcassa di un'antica macchina da guerra su un campo di battaglia.
Fece qualche decina di passi prima di fermarsi di scatto: infatti aveva visto il volto del
ragazzo e aveva visto che aveva gli occhi aperti. Antonio aveva gli occhi aperti. Nella
sua mente iniziarono a ronzare pericolosamente una serie di domande. Il corso dei suoi
pensieri venne però fermato quando il ragazzo voltò la testa di novanta gradi e puntò
il proprio sguardo come un riflettore su Matteo.
Fu gelato da quello sguardo. In quegli occhi lesse solamente morte. Era immobile in quel
momento, quasi come paralizzato e continuò a rimanerlo quando il ragazzo si alzò del
tutto in piedi. Fece qualche passo e fu di fronte a lui, sul ciglio del piccolo viale.
Nei quindici minuti che seguirono gli avvenimenti si susseguirono rapidi e frenetici.
Immediatamente, voltando lo sguardo a destra vide il corpo di suo cognato: era stato
crocefisso ad una parte della muraglia del cimitero grazie a delle croci appuntite che
erano state applicate sui palmi delle mani e alle caviglie. Il sangue era colato sul muro
(nelle tenebre della sera appariva solamente come liquido scuro) ed anche lui non aveva
più la testa.
Fu rapidissimo nel notare quei particolari e non ebbe neanche il tempo per compiangerlo,
perchè il suo sistema nervoso tornò rapido su Antonio che stava davanti a lui. Aveva
amato molto quel ragazzino, ma non poteva certo fidarsi di uno che dopo sette anni si era
sollevato dalla propria bara.
L'altro fatto che rischiò di sconvolgerlo del tutto fu l'urlo disumano che avvertì
provenire dalla cappella. Riconobbe la voce: era quella di Michele. Adesso il suo sguardo
era conteso tra due parti: a destra aveva suo nipote Antonio e dall'altra la porta della
cappella. E non tardò ad aprirsi. Capì che finalmente avrebbe avuto davanti ciò che gli
aveva causato tutti quei problemi. E così fu in effetti: avvertì il rumore della porta
che si richiudeva, ma dovette attendere che l'uomo si fosse mosso sotto il fascio di luce
della luna, per vederlo.
Si era aspettato di tutto, ma non quello che vide: trovò infatti un uomo molto vecchio,
dal volto rugoso e con pochi capelli, ben vestito. La luna illuminava i suoi occhi chiari
e lo avrebbe definito un superstite, non un assassino, se non fosse stato per le mani:
aveva lunghe unghia nere ed erano ricoperte da molto sangue e nella mano destra aveva una
piccola ascia, anch'essa macchiata e grondante di sangue.
L'uomo rapidamente avanzò e si portò anche lui sul ciglio del piccolo viale. Matteo
istintivamente fece qualche passo indietro, ma subito dopo si voltò per vedere a che
distanza era Antonio.
- Chi... chi sei?- chiese titubante Matteo. Tremava come una foglia.
- Sono un essere delle tenebre... e tuo nipote è stato prescelto.- aveva una sinistra, ma
incantevole voce.
- Prescelto per che cosa?...- il panico gli impediva di ragionare.
- Io ormai sono vecchio e lui deve prendere il mio posto: diverrà una creatura delle
tenebre, un emissario del male. E' mio. E voi avete tentato di portarmelo via...- adesso
appariva pieno d'ira. Fece qualche passo verso Matteo. Quest'ultimo avvertì che dietro di
lui anche Antonio si era mosso.
- Hai ucciso mia sorella... bastardo!- ormai anche le parole gli uscivano prive di senso.
L'uomo sorrise, fece roteare l'arma che impugnava tra le mani e poi parlò ancora:
- Per quello anche tuo cognato, Carlo e Giovanni. Senza contare Michele e, tempo fa...
anche Antonio.- e scoppiò a ridere.
Il volto di Matteo si fece una maschera di pietra; avvertì chiaramente il panico che si
frantumava come un pezzo di vetro.
- Che cosa vai dicendo?- era tornata ira nella sua voce.
- C'ero io alla guida di quel camion che investì il piccolo Antonio. Lo avevo già scelto
allora...- e scoppiò nuovamente a ridere.
Matteo respirava a fatica e mentre sentiva tutto quello che gli stava dicendo quell'uomo
si gettò proprio contro questo con tutta la forza che aveva in corpo.
Quando giunse a meno di mezzo metro dall'uomo chiuse le proprie braccia, che però non
incontrarono niente a parte l'aria e rovinò a terra.
Fu allora che avvertì per la prima volta la sirena, ma quando lo fece capì che era molto
vicina. Un attimo dopo vedeva anche le luci che impazzavano sui tettucci delle auto
spazzando via la notte.
Poi avvertì anche la risata dell'uomo, ma in quel momento si sentiva quasi protetto dai
poliziotti che stavano arrivando. Sentiva le voci e le armi che venivano caricate.
- Non sperare nel loro aiuto...- Matteo aveva mantenuto fino a quel momento i propri occhi
rivolti verso il basso, ma quando avvertì la voce li rialzò e si trovò davanti a lui,
in piedi, l'uomo.
Rideva ancora e continuava a giocherellare con la piccola ascia.
- Verrai catturato... ti arresteranno....- il panico era tornato e aveva iniziato a
parlare a vuoto.
L'uomo abbozzò solamente un lieve sorriso.
- Credi davvero che un essere come me possa essere arrestato? chi credi che abbia chiamato
la polizia? E chi arresteranno alla fine?- l'uomo accennò ad una risatina, poi placò
anche il movimento dell'ascia e la lasciò ricadere a terra. Il rumore che emise fu atono.
- Sul manico di quell'arma ci sono le tue impronte, mio caro Matteo. Tu sconterai i miei
anni in prigione. Ti lascio vivere
non ringraziarmi. Addio!- l'uomo si voltò e
prese per mano il piccolo Antonio, che nel frattempo si era avvicinato a lui.
Matteo gridò.
I due si incamminarono nell'oscurità, anime erranti nelle tenebre.
Un attimo dopo erano spariti nell'ombra del cimitero.
Matteo scoppiò a piangere e i suoi occhi, carichi di lacrime, si gettarono sulle scale,
dove due poliziotti stavano giungendo con le pistole puntate contro di lui.
Non avvertì le loro voci, mentre gli gridavano contro e neanche le loro imprecazioni
quando trovarono i cadaveri.
Da quella notte Matteo Mestrelli non dormì se non con accanto una fonte di luce. Odiava
il buio; venne accusato di cinque omicidi e di un presunto furto di una salma. Durante i
processi e gli interrogatori non aprì mai bocca e così, ritenuto insano mentalmente,
venne rinchiuso in un manicomio criminale.
Si uccise diciotto anni dopo che era avvenuto quel fatto; si impiccò.
Nel corso degli anni aveva avuto dei miglioramenti e così gli era stata concessa la
libertà dalla camicia di forza; i medici ritenevano possibile anche un suo reinserimento
nella società.
Tutti rimasero meravigliati dal suo suicidio e molti ne imputarono la causa ad una visita
che aveva ricevuto la sera stessa della sua morte. Infatti erano andati a trovarlo due
uomini, uno molto anziano ed un bel ragazzo; si erano trattenuti poco e poi
...Poi erano svaniti. Svaniti nell'oscurità della notte e la luna, come diciotto anni
prima, aveva fatto capolino da dietro una solinga nube, quasi come per salutarli.