Zuppa di tartaruga

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2021 - edizione 20

Seduti, è quasi pronto.
Ricordo mio padre che sull’uscio di casa si era tolto il cappello e se lo era torto tra le mani, mentre salutava nonna. Lei lo aveva ignorato, aveva ignorato tutti. Dandoci la schiena, ci aveva solo detto di preparare la tavola. Tra poco si mangia.
Mia madre mi aveva guardata. So, adesso, che sperava le dicessi se il trucco reggeva, se il correttore e il fondotinta funzionavano, se il livido sullo zigomo era sparito.
Baba aveva invitato anche zia Myrta, le mie tre cugine e i loro fidanzati. C'eravamo tutti.
Mio padre s’era seduto a capotavola, il suo posto dalla morte di nonno. L'altro capo spettava, come sempre, a nonna.
Non ci scambiammo una parola e posammo con cura posate bicchieri tovaglioli pepe e sale.
Fiutavamo qualcosa nell’aria. Una sapienza antica ci allertava ai propositi di nonna. Un odore di calce, di gesso. Di ossa.
Ci sedemmo ai soliti posti. Io tra mamma e Baba.

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Portò in tavola una zuppiera bianca, in ceramica. Il profumo era buono. Era zuppa di tartaruga, la specialità del bayou.
Chiese i piatti, uno a uno. Il primo fu mio padre. Aspettammo che ognuno avesse la sua porzione. Quando si fu servita anche lei ci fece un cenno, la cucina si riempì di tintinnii di cucchiai e risucchi.
Dopo poche cucchiaiate dal capotavola arrivò un rumore. Prima una tosse. Poi un gorgoglio, un intasamento strozzato, come quello dei rubinetti sporchi. Guardai mia mamma che guardava mio padre.
Alla nonna, due giorni prima, dei capelli di mio padre rimasti nella spazzola li avevo portati io.
Dovevo farlo, Maya. Credi che uno possa picchiare mia figlia e restare impunito?
La faccia di mio padre, gonfia viola e con gli occhi rossi, cadde nel piatto.
Adesso finite la zuppa, che si fredda.

Katiuscia Napolitano



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