Il 31 ottobre del 1993 l'edizione serale dello show per ragazzi “Generazione U.S.A.” fece registrare ascolti da record. Il programma condotto dall'appena sedicenne Giada Ambrosini era molto popolare tra i giovani: la sua formula semplice fatta di performance canore in playback, di improvvisazioni minuziosamente studiate e balletti ammiccanti faceva sognare migliaia di ragazzine e mandava in subbuglio gli ormoni di frotte di adolescenti. Un pubblico fedele, che premiò lo speciale di Halloween di quell'anno con picchi di ascolto superiori ai ventisei milioni di telespettatori. Il culmine si raggiunse intorno alle 22,30, quando decine di ragazzine in succinti costumi da strega riempirono gli schermi scatenandosi sulle note di un medley che teneva insieme Michael Jackson, Rockwell e i più celebri temi del cinema horror rivisitati in chiave dance. Sui titoli di coda, tra baci lanciati e strizzatine d'occhio alle telecamere, le fiamme di un devastante incendio divorarono lo studio di Tele6 sotto gli occhi orripilati di milioni telespettatori impotenti. Il fuoco divampò in seguito al crollo di una capriata che schiacciò le prime file in platea; i grossi riflettori, ancora avvitati alla traversa metallica, esplosero sbuffando fumo bianco e sputacchiando scintille che animarono piccoli roghi che ben presto si congiunsero in un unico, indomabile e vorace incendio. Il fuoco avvolse il teatro in un abbraccio di morte che lasciò pochi superstiti. Tra questi Peppi Bongiovanni, regista e acclamato autore di programmi per ragazzi, il quale era fermamente convinto che quanto accaduto non fosse stato un banale incidente. Nei giorni successivi al disastro, parlò di alcune stranezze avvenute durante quel medley di chiusura: disse di aver avuto un ritorno confuso in cuffia, una melodia che gli ricordava la “Kindersinfonie”; raccontò di una figura minuta in abito bianco, forse una bambina, che in chiusura di programma stava indisturbata tra le ragazze che continuavano a ballare. Bongiovanni sosteneva che le telecamere l'avessero addirittura inquadrata da vicino, una volta o due, imprimendogli nel cervello onde di capelli di un biondo smorto che si infrangevano su spalle scheletriche. Il viso aveva lineamenti confusi, ciò lo rendeva incapace di fornire una descrizione accurata. Più di una volta cercò lo sguardo dei suoi collaboratori in sala regia, i quali totalmente immersi nel lavoro, continuavano a tenere gli occhi sui monitor come se niente fosse. Per qualche istante Peppi dubitò di quanto aveva visto e sentito.
Scampato alla catastrofe, l'immagine di quella ragazzina era tutto ciò che gli restava. Vivo, come un ragno nel cervello, quel ricordo gli zampettava nella memoria. L'aveva vista, era del tutto sicuro che pochi istanti prima dell'incendio la ragazzina avesse guadagnato il centro del palco, tra le fila di sgambettanti streghette che sembravano non accorgersi della sua presenza; Peppi era certo di aver visto la bambina vestita di bianco con le braccia gracili tese al cielo, come rami di un albero spoglio. Un attimo dopo, il crollo. Nessuno tra i sopravvissuti confermò quanto sostenuto dall'uomo. L'unica anomalia riscontrata dal suo staff fu l'incontrollabilità delle apparecchiature in sala regia, ma viste le circostanze, neanche quello poteva essere indicato come un fenomeno così bizzarro. Neppure i brani di pellicola strappati alle fiamme furono in grado di fornire supporto alle parole di Bongiovanni, e questo in particolare gli faceva gelare il sangue. Per molto tempo raccontò a se stesso che tutto quell'affare non fosse altro che frutto di una sua fantasia.. Se ne convinse, ma mai del tutto. Un giorno per volta, gli anni vestirono di polvere quel ricordo, rendendone eterei i contorni come fotogrammi di un brutto sogno o di un pessimo blue movie. Ma seppur lontana, la misteriosa ragazzina c'era ancora. E quando trovò il coraggio di ammetterlo a se stesso, Peppi Bongiovanni fece appello alla sua innata forza di spirito e alla sua vena dissacrante per esorcizzare quell'incubo ingiallito; per non perdere completamente la testa. Trasformò quell'inquietante visione nella sua ispirazione, e il personaggio di Bambola K conquistò il cuore dei più giovani sin dalla sua prima apparizione. Tutti i ragazzini a caccia di brividi amavano quella curiosa creatura, quel fantoccio di gommapiuma dall'aspetto mostruoso ma tutto sommato buffo, e ogni 31 di ottobre aspettavano eccitati che la “bambola infernale”, come era stata definita, tornasse a infestare i loro teleschermi. La sua voce, caricatura di una voce spettrale, introduceva una maratona di Halloween fatta di film horror per la TV, pensati per un pubblico di giovanissimi. Niente sangue, niente scene di sesso e tanti pupazzoni spaventosi. La creatura di Peppi ebbe un successo clamoroso, tanto che il network decise di dedicarle uno spazio settimanale il sabato pomeriggio, con ospiti speciali, un giovane corpo di ballo e un pubblico di ragazzini adoranti in studio. E poi gadget di ogni tipo, VHS, musicassette e compact-disk. Quel grottesco pupazzo diventò uno dei prodotti meglio riusciti di Bongiovanni. Bambola K era un business, ma anche molto di più: era il modo che lo stimato autore si era inventato per affrontare quel ragno, che anche se ormai fiacco, continuava a muovere le sue zampe nere e ispide nel suo cranio. E così, lentamente, lo soffocava.
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La notte del 31 ottobre del 2013 il III movimento della “Kindersinfonie” riempì nuovamente le orecchie di Peppi Bongiovanni. E quella volta ne era certo. Le note familiari che gli facevano vibrare i timpani e accapponare la pelle componevano una melodia, il brano che introduceva la TV dei ragazzi negli anni '60. Un brano che aveva ascoltato per anni. Quella notte Peppi ascoltò quella melodia per l'ultima volta in vita sua, mentre strisciava a pancia in giù sul parquet fuligginoso del suo appartamento. Digrignava i denti, ingoiava dolore e paura mentre tentava disperatamente di trascinare il suo corpo lontano da quell'inferno. Su di lui l'ombra deforme di una ragazzina, allungata dal bagliore delle fiamme che si agitavano selvagge in salotto. Le sue scarpe di vernice squittivano sul pavimento, e la gonna del suo abito bianco si muoveva come toccata da un vento impercettibile. Peppi Bongiovanni si rigirò sulla schiena, indifeso, implorando pietà, con la voce strozzata dal fumo e dall'orrore. Il suo tono querulo si scontrò con la faccia priva di lineamenti della ragazza. Peppi era pervaso da un terrore folle, il suo corpo ne era come impregnato e appesantito, tanto da rendergli impossibile la fuga. Così i suoi occhi, che non riuscivano ad andare da nessun'altra parte se non sulla carne putrescente che foderava quel volto informe, schiacciato nel centro da un saldo legaccio metallico che disegnava imprecise linee orizzontali; le guance della creatura erano polposi e sporgenti bubboni grigi segnati da sottili venature prugna. Dopo vent'anni ce l'aveva finalmente davanti, e quella faccia oscena faceva riaffiorare i ricordi, uno dopo l'altro, come schegge di legno e avanzi di cadaveri restituiti dalle onde dopo una catastrofica mareggiata.
La ragazzina sentiva il terrore dell'uomo mentre continuava a tenere la faccia rivolta verso di lui, come se, anche senza occhi, riuscisse comunque a vederlo, a percepire l'odore pungente della sua paura. E quando le sue braccia si coprirono di lingue di fuoco ancora una volta, Peppi capì che ormai sarebbe stato inutile scappare; pensò che se anche ne avesse avuto le forze, sarebbe stato comunque vano provarci. Pensò che quel primo incontro che ebbero vent'anni prima doveva essere stato una sorta di avvertimento, perché certamente, se solo lo avesse voluto, quell'essere avrebbe potuto ucciderlo in qualsiasi momento. Crebbe in lui la sensazione che in tutti quegli anni lei avesse voluto giocare a terrorizzarlo; con sadico compiacimento, tormentarlo nei sogni di tanto in tanto, senza mai mostrarsi, ma opprimendogli il petto con la sua presenza gelida. Una sensazione che lo accompagnava ancora, quando il fuoco lo avvolse per cibarsi di lui.
Tutto ciò che rimase di quell'incendio furono decine di vecchie scatole da scarpe. Scatole incolonnate, catalogate e numerate con grafia sicura e ben vergata. Scatole colme di materiale pedopornografico. VHS, fotografie di giovani poco più che bambine, spesso ritratte in pose molto più che esplicite. Gran parte di quel materiale proveniva dai casting televisivi che Bongiovanni aveva curato personalmente in anni di programmi per ragazzi. Su alcune foto era possibile leggere dei nomi. Teresa, Roberta, Elisabetta... Quando il corpo del regista bruciò le fiamme sciolsero la sua maschera, incenerirono l'immagine di leggera spensieratezza che per decenni fu legata al suo nome e ai suoi show. L'orrenda eredità che Peppi Bongiovanni lasciava alla cronaca e alla memoria del suo pubblico era tutta in quelle scatole da scarpe, nell'immoto silenzio di una casa nera. Nera come la fuliggine; come un segreto inconfessabile. Nera, come la zampa irsuta e pruriginosa di un ragno che anima il buio di una mente distorta.
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