Il Succhiacapre

Vincitrice del concorso "Premio Scheletri", 2018 - edizione 10

Benché fosse un ragazzo gracile e delicato, per tutti era “il Succhiacapre”.
Era stato un bambino macilento a causa di una strana malattia guarita con una super nutrizione a base di carne di cavallo e bistecche al sangue. Come postumi, gli aveva lasciato: capelli sbiaditi, occhi e pelle fotofobici, il gusto della carne poco cotta e sanguinolenta.
Da queste abitudini eccessive derivava il suo soprannome. Nessuno sospettava il piacere morboso che provava per il sangue e il suo odore, né che fosse l’autore delle tante uccisioni di animali pugnalati alla gola e lasciati morire dissanguati. All’inizio, gli bastava guardarlo zampillare fuori dalla ferita. Poi, fu l’odore ad attirarlo così vicino da imbrattarsi con gli schizzi le mani e il viso. Leccò le labbra e scoprì che quelle gocce erano la cosa migliore che avesse assaggiato. Intinse le dita, unì le mani a coppa colmandole di quel nettare e brindò come se fosse un prezioso vino d’annata, maturato in botti pregiate. Presto, non gli bastò più. Una notte vide un barbone che dormiva tra i cartoni in un vicolo buio. Una tentazione irresistibile, la morte facile di un essere che nessuno avrebbe rimpianto. Fu “un salto di qualità”, una consapevolezza che gli svelò la sua vera natura.

Scostò i capelli, che portava lunghi sul collo, e toccò due piccole cicatrici. Non erano cisti, come aveva sempre pensato, ma l’origine della sua malattia, il contagio infetto, il marchio indelebile del signore della notte. Ora capiva la parte più oscura, le pulsioni sciagurate della sua anima. Era un vampiro e non poteva più tornare indietro. Aveva bisogno di quel fluido vitale per sopravvivere.
Cambiò vita, cominciò a viaggiare. Cercava vittime tra i diseredati dei ghetti, sempre in posti diversi e lontani. Come un tossico, non riusciva più a controllarsi. Abbandonò ogni prudenza, lasciando numerose tracce e così, venne catturato.

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Nella cella d’isolamento, il Succhiacapre era in crisi di astinenza, tremante e assalito da allucinazioni. Gli mancava il nutrimento, ne sentiva un feroce bisogno. Non aveva nulla di tagliente con cui ferirsi. Una sola goccia del suo sangue avrebbe potuto alleviare la sofferenza. Altre volte, aveva placato così quella sete. Seduto sulla branda, fissava la parete bianca, la mente posseduta solo da quel desiderio forte e imprescindibile. Vedeva il muro tingersi di chiazze rosse, gocce che scivolavano a terra formando disegni evocativi. Si portò i polsi alla bocca. Affondò i denti nella carne cedevole e strappò. Bevve, avido, quel liquido tiepido e, insieme al sangue, la sua vita che scorreva via.

Lo trovarono dissanguato, la bocca contratta sulle vene spaccate e aride.
Qualcuno azzardò l’idea di piantargli in cuore un paletto. Venne deriso, giudicato un babbeo ma, nel pensiero di molti, rimase un’inquietudine inespressa: se fosse stato veramente un succhiacapre?
Adesso, nel dubbio, di notte le porte delle case venivano sbarrate. Perché, si sa, i vampiri non muoiono e, con il buio, tornano per sfamarsi.

Ughetta Aleandri



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