È un vero peccato che il mio glicine abbia smesso di crescere. Le foglie, che prima spuntavano rigogliose sui fitti getti scaturiti dal tronco bruno, si sono rinsecchite accartocciandosi come le mani di un vecchio. -È stata una stagione secca- dicono rispondendo alle mie lagnanze, oppure -È stato un inverno oltremodo rigido- ma io sospetto che non sia così; so che non è così. Non è così perché ho osservato, attento, tutte le fasi della lenta agonia di quel glicine. So che il clima non c'entra per nulla io, né c'entrano le esigue annaffiature, la mancanza di protezione durante la stagione invernale o qualunque altra causa che potrebbe essere imputabile alla mia incuria.
Il mio glicine sta morendo, penso di averlo già detto. Tutto è avvenuto a poco a poco, con lentezza, con la discrezione che spesso precede gli eventi nefasti. Non c'entrano le perturbazioni atmosferiche l'ho sempre detto e ora ne sono più che mai convinto. Tutto iniziò lo scorso anno quando una sera, seduto in giardino, vidi accendersi, nel prato, proprio alla base della pianta, dei piccoli lampi di luce. -Sono lucciole in cerca d'amore- disse la mia compagna e io risposi -le lucciole volano cuore mio, non rimangono incollate al prato a lampeggiare inutilmente.
"Solo il maschio vola, la femmina no. Non sembra neppure un insetto la femmina, ha un aspetto larviforme e rimane adagiata sul terreno con quella sua lampada piantata sul sedere; sempre accesa".
Quella risposta non mi convinse per nulla, non avevo mai visto una lucciola senza ali, dunque mi alzai e andai giusto sotto il glicine da dove provenivano quei sottili raggi luminosi. Cercai a lungo fra i fili d'erba, inginocchiandomi sul terreno umido; scostai la salvia, sfiorai la menta che frusciò allegra. Non trovai nulla.
Le piccole luci tornarono a splendere la sera successiva, e allora presi ad indagare con più attenzione muovendomi circospetto intorno al punto da cui queste provenivano. Piano piano mi appiattii sull'erba respirando impercettibilmente, strisciai verso il glicine come un gatto che traccia una preda nella notte bella. Scoprii che le luci non appartenevano ad alcuna creatura ma fuoriuscivano da piccole fenditure formatesi nel terreno compatto. Erano piccole braci soffiate da un respiro sotterraneo e sparse alla base della pianta a formare una costellazione di lumi. Ma c'era anche qualcosa in più: da ciascuna di quelle fenditure si innalzavano nell'aria sottili pennacchi di fumo giallastro e il terreno era animato da vibrazioni che potevo sentire nella pancia adagiata al suolo.
Il mio glicine si è rinsecchito, scusate se continuo su questo tema. Ora però ho qualche certezza in più. Non c'entra il clima, non c'entra l'incuria e non c'entrano neppure le lucciole che, forse, non hanno mai lambito quell'albero. Piuttosto, certamente, la colpa è di quelle crepe nel terreno e di quelle luci che fumano di grigio e di giallo e di quelle vibrazioni che ho sentito nella pancia quando strisciavo fra la menta e la salvia. Sono solo piccole braci sparse sull'erba ma la luce che proviene da sotto è la luce di un mondo sotterraneo appena coperto da un sottile lembo di terra.
Il mio glicine ora è scomparso, che noia vero? Al suo posto è rimasto solo un vortice di terra. Il glicine si è seccato avvolto da mille spirali di fumo grigio e giallo sollevate da braci ardenti e poi il suolo l'ha inghiottito. Io fra quelle braci e fra quei rivoli di fumo ho visto danzare il diavolo. È il diavolo che ha distrutto il mio glicine, il diavolo in persona o qualche altro demone delle sue fottute legioni. Ha afferrato le radici trascinandole verso il basso, giù giù a raggiungere il centro del globo e ancora più in basso verso la superficie opposta del pianeta.
Ora però che il glicine sì è curvato e seccato, ora che è morto e scomparso, ora che tutti , qui, nel giardino, piangiamo la scomparsa di ciò che amavamo, dall'altra parte del mondo qualcuno dice: "guardate gente, guardate che bel glicine è spuntato ieri notte. È il glicine del diavolo".