Giacomo si riteneva ormai un bambino grande. Quell’anno aveva preteso di sigillare la busta contenente la letterina che aveva scritto a Babbo Natale senza prima mostrarla ai genitori. Oh, certo, avevano protestato, soprattutto la madre, professoressa d’italiano, ma Giacomo era stato irremovibile. Alla fine avevano dovuto cedere, l’avevano accompagnato a imbucarla.
Durante tutto il tragitto fino alle poste non erano riusciti a evitare di lanciare occhiate nervose alla busta che Giacomo stringeva tra le mani. Il padre perché non sapeva come avrebbe potuto soddisfare le richieste del figlio, quell’anno. E non soddisfare Giacomo non era mai una buona cosa. La madre perché il solo pensiero degli imperdonabili errori grammaticali che di certo vi si annidavano la ardeva viva. Neppure lei poteva immaginarne la gravità.
“Questo hanno voglio tutto il sacco di Babbo Natale dentro con tanti regali”, c’era scritto in quel foglio di carta ripiegato con cura.
La notte di Natale, grossi stivali neri lasciarono impronte umide lungo tutto il corridoio. Babbo Natale strappò Giacomo dal letto e lo trascinò fuori, urlante nella neve, fino alla slitta, dove l’enorme sacco aspettava aperto come una voragine e le renne scalpitavano sbuffando vapore dalle narici. Con le grasse dita gli spalancò la bocca fin quasi a scardinarla e prese a spingergli pacchetti giù per la gola, attingendoli dal sacco, mentre Giacomo piangeva e si dibatteva, soffocando.
Era già morto, quando lo stomaco si lacerò e gli organi furono schiacciati dai pacchi. Babbo Natale passò a regali sempre più grandi, a mano a mano che la pelle elastica del bambino si stirava fino a raggiungere le dimensioni di un nuovo gigantesco sacco. Lo colmò fino all’orlo e lo caricò sulla slitta, gettando il vecchio sacco malandato nella neve.
In molti si chiesero perché quell’anno la carta dei pacchi fosse umida e rossiccia.