Sono disperso in una selva di corpi, circondato dai busti mineralizzati di spettatori in equilibrio su poltrone di velluto consunto; il loro peso morto sostenuto da lunghe aste metalliche.
Sugli indumenti, così nei volti, sedimenta uno spesso strato di polvere che ammanta di una patina opaca l'intero cinematografo.
Accanto a me, le orbite ingiallite di due pargoli incartapecoriti assorbono avidamente la fioca luce emessa dalla parete laddove, da un ampio ritaglio latteo, emergono forme indefinite di un nero cupo.
Ombre in movimento, prima lente poi rapide come lepri.
Sento le mie mani fremere sul bracciolo, bramano di agguantare le sagome guizzanti.
Lo farebbero di certo, se non fossero saldamente fissate con un capestro all'asta in ottone che sostiene l'intero busto come un tutore regge il debole fusto di una pianta.
Sono paralizzato, l'unico tronco ancora verde in una foresta di ceppi secchi.
Il buon senso mi imporrebbe di urlare, dimenarmi come un alienato perlomeno, ma a dirla tutta comincio a provare un singolare torpore.
Sebbene il tempo non indugi a scorrere, né la fame né la sete sono mie nemiche: semplicemente avvizzisco.
Il mio corpo lentamente cede alla gravità, gli occhi esausti scostano lo sguardo dalla parete; si ancorano alle spalliere delle prime file, laddove decine di crani scarni puntano le orbite in mia direzione. Hanno i colli spezzati, gli indici ossuti tesi su di un piccolo cartello luminoso ai piedi del palco: "Lo spettacolo sta per iniziare" cita lapidario.
Calano le luci.
La campana d'inizio riecheggia nella sala, fa sibilare le ossa come sognali.
Un frullio di piume seguito da un acuto crocidare emerge dallo schermo, si abbatte con ferocia sul mio volto.
Le ombre che tanto ho agognato si saziano dei miei bulbi, con fiato di ferro gracchiano sornione: << Buona visione >>.