Quando riprese i sensi non c’era che il buio. Il freddo gli pungeva il viso, gli occhi dolevano nel tentativo di tenerli aperti, gli arti pesanti e ogni tentativo di muoverli si fermava alla semplice volontà di farlo. Tutto il suo corpo era come paralizzato. La coscienza faticava a contestualizzare la situazione. Poco alla volta, riprendendo sensibilità cresceva la terribile sensazione di sentirsi avvolto da un abbraccio opprimente.
Un rumore di passi veloci fece scattare un istintivo allarme. Non vedeva nulla ma di una cosa era certo: quelli non erano passi umani.
Proprio come erano arrivati, questi si allontanarono dalle sue orecchie con rapidi tocchi e un leggero fruscio. Poi fu di nuovo silenzio.
Capì che la creatura si era fermata ai suoi piedi quando la sentì ansimare e toccare le sue dita con dinamici movimenti della lingua. Il suo predatore lo stava saggiando e non c’era nulla che lui potesse fare per impedirglielo. Subito dopo iniziarono i morsi. Sempre più forti e veloci.
Le unghie e i denti della belva affondavano nella sua carne, ma il torpore rendeva tutto piacevolmente irreale. La paralisi che lo aveva condannato ora lo proteggeva da un dolore altrimenti insopportabile. Poi non sentì più nulla.
Un peso improvviso gli pressò il petto, il respiro dell’animale era ormai percettibile e sempre più insistente. Sentì nuovamente la sua lingua ma questa volta era sulla sua faccia.
All’improvviso un suono assordante interruppe la belva.
Contemporaneamente risvegliò la preda dal suo torpore, che non senza fatica riuscì a liberare un braccio dalla morsa e lo protese verso la fonte del rumore facendolo cessare.
L’orologio della sveglia segnava le sei. Con l’altro braccio scostò il gatto e il piumone e con un enorme sforzo di volontà si mise in piedi. L’incubo di un altro giorno era appena iniziato.
Nato nel 1977 e laureato in informatica. Mi piace leggere, ogni tanto scrivere, ma sono spesso troppo pigro per completare cio' che inizio.