Quello spiffero mi stava mandando al manicomio.
Avevo cercato la sua origine tutta la mattina, setacciando la camera da letto con meticolosità snervante, ma ancora non ero riuscito a capire da dove l’aria entrasse.
Sarebbe dovuta rivelarsi una cosa facile, si trattava solo d’individuare una cazzo di fessura nella grande finestra della camera da letto, eppure l’aria sembrava venire dappertutto, tranne che da lì.
«Ancora davanti a quella finestra?» mi chiese Alessia con tono annoiato.
La mia dolce mogliettina si stava rivelando piuttosto scettica sulle mie doti da falegname.
«Sì amore sono ancora qui, non riesco a individuare il punto da cui passa l’aria e mi sto incazzando! Ma non lo senti anche tu che freddo che fa in questa stanza?».
Fece spallucce. «Non mi sembri tanto pratico».
Le feci un largo sorriso mandandole un bacio con la mano.
«Torno giù a controllare che il sugo non si attacchi».
Mi girai per rimettermi all’opera, ma stranamente non sentii più l’aria gelida passare. Bizzarro.
Avrei dovuto cominciare a riflettere nel momento in cui, guardando fuori, notai che il pino di fronte a me veniva scosso da forti raffiche di vento.
Invece scrollai le spalle e seguii mia moglie in cucina, considerato il reclamare del mio stomaco.
Accidenti che freddo, mi svegliai con questo pensiero.
Ma certo, il dannato spiffero!
Feci per alzarmi, ma sussultai intravvedendo nell’oscurità una figura accucciata ai piedi del letto.
«Alessia?» sentii flebilmente chiedere alla mia voce.
Intanto le mie mani cercarono freneticamente il corpo di mia moglie.
Lo trovarono: rigido e ghiacciato.
Senza vita.
La figura mostruosa balzò sul letto.
Un odore di stantio e marcio s’insinuò nelle mie narici.
L’essere esangue mi alitò sul volto, la sua bocca era come una porta aperta che creava corrente, gelida e tagliente.
«Ho ancora fame» disse l’incubo di ghiaccio.