Bagliori rossi accendevano il cielo nell’ultima fase del tramonto. Finito il lavoro nei campi, Pino era andato a pregare sulla tomba del gemello Ernesto nel piccolo cimitero che sorgeva ai margini del bosco a meno di mezzo chilometro dal confine del loro podere. Non si era mai rassegnato alla scomparsa del fratello, avvenuta meno di un mese prima. Erano invecchiati insieme, aiutandosi a vicenda nell’impegnativo mestiere di coltivatore, ed ora per lui la vita sembrava avere davvero poco senso. Ernesto, poi, era morto in modo misterioso, aveva il collo fratturato. Il medico aveva dichiarato che era stata una caduta accidentale nell’oliveto, ma Pino non ne era mai stato del tutto convinto. In quelle campagne, poi, negli ultimi mesi c’erano stati strani avvistamenti di creature spaventevoli, e benché al momento non vi fossero stati veri e propri contatti con i residenti la paura cresceva di giorno in giorno.
Fu mentre pregava che con la coda dell’occhio vide un uomo dall’aspetto orribile, coperto di stracci, varcare il cancelletto del cimitero. Lo guardò terrorizzato, ma al tempo stesso attratto da quella figura d’incubo. Non era capace di distogliere lo sguardo dal mostro. Non era capace neanche di muoversi. La creatura, muovendosi con innaturale lentezza, gli arrivò a due passi, e con raccapriccio, gli occhi sbarrati, ma al tempo stesso incapace di urlare, di dire una sola parola, Pino vide che il mostro assomigliava molto a Ernesto. Sentiva il cuore in gola, il fiato mancargli, ma quando notò che l’essere aveva il naso fratturato come se stesso si disse “non è mio fratello... sono io…”, poi vinto dall’orrore perse i sensi. Con movimenti grotteschi delle braccia scostò il lenzuolo in cui era stato sepolto e la terra che gli copriva il volto. “Non era mio fratello…” pensò, quando il suo corpo decomposto emerse dalla tomba.