Sveglia.
Caffè.
Doccia.
Colazione.
Denti.
Vestiti
Collarino.
Scarpe.
Chiavi.
Macchina.
Lavoro.
Ancora e ancora, ogni giorno uguale all'altro, rinchiuso in questo buco puzzolente senza possibilità di fuga. Indosso le cuffie e mi limito a seguire le direttive: afferro spazzolone, secchio, detersivo e comincio a pulire.
L'odore è nauseante, non fosse per le pasticche che ci danno vomiterei l'anima. Gli abitanti dell'ospizio mi ignorano grazie al collarino, ma continuano a sporcare dove pulisco. Devo ricominciare. Per le mosche non c'è rimedio, sono troppe, puoi solo coprirti più possibile. Si posano ovunque, sullo sporco, sugli avanzi, su di loro. Le vedo entrare nelle narici, camminare sui loro occhi insensibili, scavare nella pelle, depositare uova. Torno a fissare il pavimento e a lavare via i rimasugli, le incrostazioni, gli insetti morti.
È un lavoro facile: segui qualche regola, indossi questo collarino e puoi vivere libero, incluso in un elenco di favoriti. Così ti convincono a perdere la tua umanità, a farti accettare la schiavitù.
Prima era diverso, chi camminava in questi corridoi sorrideva, piangeva, parlava con te, ringraziava per i servizi ricevuti. Trattamenti riabilitativi, assistenza, cure, sostegno psicologico. Prima del Giorno del Giudizio. Prima che i Morti si rialzassero e comparissero i loro Signori.
Incrocio lo sguardo di Carlo, un altro selezionato. È arrivato al limite. Smette di pulire, il viso contratto in un sorriso pervaso dalla follia, lacrime che scivolano lungo il viso mentre strappa via il collarino. Passano pochi istanti di silenzio, poi è solo cieca ferocia. Non sento le urla. Dopo qualche minuto torna tutto come prima, solo altro lavoro per me. Se il sangue e le interiora si seccano diventano rognose da pulire. Raccolgo il secchio. La vita, per i pochi sopravvissuti sotto il Governo dei Morti, è solo un limbo, in attesa di diventare il prossimo pasto.