«Mai. Promettimelo!»
Clara promise. Era abituata alla estrema riservatezza di suo padre sulle sue ricerche, ma questa volta la perentorietà la lasciò perplessa, poiché, seppur raramente e mai senza la sua supervisione, lui le consentiva l'accesso al suo studio. Tuttavia, fugò i suoi dubbi attribuendo l'eccessiva agitazione dell'uomo a qualche nuova scoperta.
Una sera, rimasta sola in casa, passando davanti allo studio, notò che la porta era socchiusa. Giudicando inusuale il fatto, allungò una mano verso la maniglia per chiudere, ma poi, spinta da morbosa e irrefrenabile curiosità, venne meno alla promessa ed entrò.
La stanza era fredda, sebbene fossero in piena estate, e il pavimento gelido sotto i piedi nudi le provocò un brivido lungo la schiena. Notò subito l'urna funeraria al centro della stanza. Le sembrò fuori posto, anzi, pensò che lo sarebbe stata dovunque, un oggetto estraneo, non appartenente al mondo delle cose conosciute. Le indescrivibili incisioni che ne decoravano ogni lato la repellevano e attraevano allo stesso tempo.
Non resistette alla tentazione di aprirla e guardarvi dentro. E un orrore profondo la attanagliò. Un'oscurità estrema, innaturale, impenetrabile e un intenso, nauseabondo odore di salmastro che la fece ritrarre. Poi, un verso profondo, gorgogliante, carico di odio e malvagità. Un tentacolo viscido, ricoperto di ascessi purulenti che trasudavano un liquido viscoso e nerastro si avventò su di lei avviluppandola. L'estremità dell'orribile appendice tastò le forme del suo corpo quasi a voler capire cosa stava stringendo. Clara, in lacrime, senza potersi muovere, ebbe il tempo di sentire qualcosa di caldo colarle lungo le gambe, prima di accorgersi che il tentacolo stava serrando la presa, rendendole difficile respirare. Capì cosa stava per succedere. «Papà» invocò, in un gemito strozzato. Il tentacolo diede un'altra stretta, decisa. Clara avvertì lo strattone e si sentì proiettata verso l'urna. Poi, solo il buio.