- Quando passerà da queste parti, saremo lieti di averla a cena. Non so come ringraziarla, la casa è meravigliosa -
- È stato un piacere fare affari con lei - Si accomiatò il venditore.
- L’affare è stato mio, visto che non ho pagato la cantina! - rise Smith.
Tom non proferì parola, si limitò a farsi cereo in volto.
- Ricorda quella porticina chiusa a chiave che non siamo riusciti ad aprire durante la visita? Cantina! Guardi - continuò trionfante il nuovo proprietario, picchiettando con l’indice sulla planimetria.
- Può darsi che i vecchi proprietari non se ne siano mai serviti... con box doppio, giardino e solaio, lo spazio non manca. Ora però voglia scusarmi, devo proprio scappare - concluse l’agente immobiliare, impaziente di andarsene.
Mentre si allontanava a bordo della sua auto, Tom diede un’occhiata dallo specchietto retrovisore: la famiglia Smith, tra le risate, era intenta ad aprire il cancello al camion dei traslochi.
L’abile venditore afferrò dalla tasca interna della giacca una piccola chiave arrugginita e tirò giù il finestrino.
“Ormai è fatta,” pensò, mettendo una mano fuori.
Respirò. Non gli sembrava vero: finalmente l’aveva venduta.
Tuttavia non si sentiva sereno: non solo aveva omesso di raccontare della tragedia, ma aveva anche cercato di nascondere il sotterraneo.
“Al diavolo, avevo bisogno di soldi!” Tom gettò la chiave lontano, oltre la carreggiata, ma la sua mente tornò all’istante in cui era entrato per la prima volta in quella cantina.
Sapeva cosa vi era accaduto, ma mai avrebbe immaginato.
L’aveva vista subito, appena premuto l’interruttore.
Era lì, silenziosa, sul muro.
Incredulo si era guardato intorno, in quella stanza spoglia.
Impazzito, con una manata aveva frantumato la lampadina.
Poi, nell’oscurità, aveva illuminato la parete con la sua torcia elettrica.
E lei era ancora lì.
L’ombra.
L’ombra dondolante di un impiccato.