«Etcì!»
«Che schifo!»
23 guardò giù. Aveva colpito 42 sul casco con uno sputacchio.
«Scusa, capo.»
Erano attaccati alla parete ormai da tempo e la stavano risalendo. Era viscosa, ripugnante. La Cosa li attendeva là sopra, da qualche parte.
«Continua a salire, non abbiamo tempo.»
23 incastonò un altro piolo nella parete. Quel posto era altamente inospitale: ogni tanto si sentivano rumori sinistri. L’inferno me lo immagino così, pensò 23.
Avevano preso ritmo quando il rumore di fondo si fece più forte. Sembrava un temporale.
«Cazzo è stato?»
Il vento aumentò. E aumentò. Si udì un rumore lacerante e poi cominciò a diluviare.
«Tieniti, capo!», urlò 23 aggrappandosi con tutta la forza che poteva ai pioli. Chiuse gli occhi.
Poi, d’improvviso, smise. 23 era completamente fradicio, ma vivo. Solo che 42 non c’era più: la corda giaceva penzoloni nel vuoto.
23 richiuse gli occhi per un attimo e ripartì. Lo devo fare, si disse.
Dopo un tempo che gli sembrò infinito, raggiunse la Stanza. Era buia. Il cuore gli batteva all’impazzata. La Cosa si stagliava immonda davanti a lui.
Si avvicinò di soppiatto, tirò fuori l’attrezzatura e ripensò alla gente che lo aspettava a casa. Trasse un profondo respiro, azionò l’arma e cominciò a incidere.
«Etcì!»
Autunno di merda, pensò. Non aveva mai avuto il raffreddore, ma quell’anno era arrivato potente.
«Omini!»
Francesco si voltò. Andrea, 3 anni, lo guardava seduto sull’erba. Aveva in mano dei pallini scuri. “Il nuovo polline”, lo chiamavano in tv.
«No, amore, è polline. Sai cos’è?». Lo prese in braccio e gli pulì le mani.
«Omini...», ripeté il bambino, imbronciato.
Francesco sorrise. Mentre si incamminava verso casa con suo figlio, una folata di vento li investì, portando con sé altro polline.
L’uomo si toccò una tempia: gli stava venendo anche un brutto mal di testa.