Il bambino nacque con gli occhi aperti: due perle nere e lucenti che si fissarono con disarmante indifferenza sul volto dell'ostetrica che lo accolse allibita tra le sue mani.
Sua madre dilaniata e distrutta, si contorceva dietro di lui negli ultimi spasmi di un dolore immenso, smettendo di gridare all'improvviso, morendo nell'attimo stesso in cui finalmente lo espulse fuori dal suo corpo. Nella sala parto illuminata dalla luce bianca delle lampade impietose, le quattro persone presenti si muovevano frenetiche per la stanza, cercando di rianimare il bambino che non aveva ancora emesso il primo respiro.
Ma lui richiuse i suoi occhi brillanti.
L'ostetrica allora lo tirò su per i piedi squotendolo e dandogli pacche sempre più vigorose sulla schiena. All'improvviso lui riaprì i suoi occhi neri, girando la testa intorno, cercandoli uno per uno, fissandoli negli occhi, mentre i neon sulle loro teste iniziarono a sfrigolare e una bombola d'ossigeno iniziò a sibilare all'impazzata. I quattro medici si bloccarono di colpo guardandosi l'un l'altro, mentre dai loro nasi e dalle loro orecchie rivoli di sangue rosso colavano sui loro candidi camici. Un attimo di smarrimento, poi le loro teste iniziarono a gonfiarsi ed esplosero tutte insieme, lasciando strani disegni di materia cerebrale sulle pareti. Il bambino cadde a terra con un tonfo quasi liquido, e rimase lì, aspettando che quei corpi smettessero finalmente di dimenarsi e di spargere tutto quel sangue sul pavimento.
Con fatica si mise a sedere e cercò di tirarsi su, ma vide il cordone ombellicale ancora attaccato, e si chinò tranciandolo con un morso netto della sua duplice fila di dentini aguzzi. Poi, dopo aver fatto una serie di tentativi, riuscì a mettersi in piedi e, scivolando sul sangue, raggiunse la porta e uscì nel corridoio.