«Adele, l'uomo nero viene a prenderti se non mangi.»
«Ma fa schifo!»
«Signorina, come parli?»
La mamma approfittava sempre della sua paura dell'uomo nero. Però, quella sera, il minestrone era orrendo. Allungò guardinga una cucchiaiata al cane, che guaì e corse via.
«Nemmeno lui lo vuole!» sussurrò Adele distanziando il piatto e incrociando le braccia.
Aveva cinque anni, ma mangiava ancora da sola, prima degli adulti. Non le piaceva, non le piaceva per niente, ma la mamma era irremovibile.
«Adele?»
«Non lo voglio!»
«Attenta all'uomo nero!»
Faceva un gran baccano la mamma in cucina, tra mestoli, coperchi, tagliere e coltello.
Adele voleva piangere. Serrò le labbra, appoggiò la fronte sul tavolo e vide un tremolio alle sue spalle. Pensò fossero le lacrime. Le asciugò e controllò.
Il pavimento sembrava liquido.
Adele spalancò gli occhi.
Una piastrella si arrotondò e crebbe, prendendo una sfumatura blu notte. Sembrava tessuto. Comparvero, poi, una fronte, due occhi bianchi lucenti e un lungo volto smunto. Nero, un volto nero. Prese forma anche il busto, abbellito da un ricco abito drappeggiato, dello stesso blu notte del turbante. Spuntarono due braccia lunghe, sottili, come zampe di ragno. La donna non aveva gambe, era fusa col pavimento. Fissava Adele con quegli occhi bianchi inespressivi.
La bambina sapeva che lei era l'Uomo Nero. Anche se era una donna. Anche se era vestita di blu.
I rumori in cucina continuavano, ma attorno a sé sentiva solo il gelo del silenzio.
Aveva paura di parlare. Aveva paura di respirare.
Le scesero le lacrime. Tremava: era lì per lei.
La donna nera arcuò la schiena e protese le braccia.
Adele nascose il volto tra le mani.
Attese.
Attese.
Attese.
Niente.
Guardò timorosa.
Il mostro era scomparso.
Sospirò di sollievo, poco prima di rendersi conto che in casa non c'era più alcun rumore.