Si destò nel suo lussuoso ufficio, seduto alla scrivania. Ma, si disse, sulla scrivania non c’erano mai state montagne di banconote del taglio da cinquecento euro, né c’erano mai state sul divano addossato alla parete di fronte. E mai, nella stanza ovattata, aveva ascoltato quelle grida che giungevano da fuori. “Ladro, affamatore, restituiscici il nostro, dobbiamo mangiare anche noi”. Si alzò in piedi e andò alla finestra a vedere chi era che urlava in quel modo. Un brivido e un orrendo sospetto gli trafissero la mente. Decine e decine di migliaia di persone urlavano con disperazione reclamando diritti che a loro dire lui gli aveva negato. Tornò a sedersi alla scrivania con le gambe tremanti.
Comprese subito chi aveva di fronte quando la porta della stanza si aprì e dall’oscurità profonda comparve Satana, maestoso, di indefinibile bellezza, simile all’angelo di piazza Statuto, eco dello splendore che aveva prima che il mondo fosse. Non riuscì ad aprire bocca, e del resto non era necessario perché il Demonio capiva ogni suo pensiero, ogni suo sentimento, avrebbe potuto dirgli in pochi attimi di tutti i suoi giorni da quando si era affacciato alla vita. “Mi vendesti l’anima per avere successo nel tuo lavoro. Tutto hai avuto, ma ora loro reclamano ciò che gli hai tolto, loro sono qui per te. Se vuoi andartene devi prima restituirgli ciò che gli hai preso. Conta questi soldi e conta tutti gli operai che licenziasti per avidità di maggior guadagno, e restituisci tutto a tutti in parti uguali. Hai poco, pochissimo tempo.” In ospedale, nel reparto di rianimazione, per un attimo riprese conoscenza. Un gruppetto di medici poco distante dal letto parlava di lui. “Presto dovremo staccargli la spina, come si dice,” disse piano il primario. “Era ancora giovane e ricchissimo, ma al destino non si comanda”.