Sara diceva di avere i vermi. E che per questo avrebbe saltato un giorno di scuola. Io invece scoppiavo di salute. Allora Sara mi diede qualcosa: un verme. Diceva che era suo, che mi avrebbe aiutato. “Devi solo tenerlo in mano, senza schiacciarlo” mi diceva. E così feci.
Inizialmente sentii come una puntura. Aprii la mano e il verme era già sparito, dentro me. “Vedrai, Giulia, adesso anche tu starai a casa da scuola”.
Il giorno dopo anch’io avevo i vermi. E la stessa mattina il dottore mi visitò a lungo. Poi si alzò di scatto dal mio letto e parlò con i miei genitori. Mamma si coprì la bocca, piangeva. Papà invece la stringeva forte accanto a sé, mentre io aspettavo l’okay per starmene tutto il giorno a casa.
I grandi uscirono dalla mia stanza. E subito dopo ricevetti una foto sul mio smartphone. Era Sara, nel letto di casa sua, con il pollice alzato verso l’alto e un gran sorriso.
Così presi il mio cellulare per fare altrettanto, e condividere questa giornata di vacanza con la mia amica. Ma la foto non veniva bene: la faccia era tutta sgranata. Provai a farne delle altre, pensando a un problema della videocamera. Ma l’immagine era sempre più... disfatta.
Poi qualcosa cadde dal mio mento per posarsi sopra lo schermo luminoso. Erano vermi. Gialli. Lunghi poco più di un’unghia.
“Mamma!” gridai.
La porta si spalancò di botto. Ma invece dei miei c’era un gruppo di uomini vestiti con delle tute bianche gonfie d’aria.
Cercai di scappare. Ma le mie gambe erano sparite. Al loro posto, migliaia di vermi si contorcevano in una pozza giallastra. E prima di perdere la vista vidi un’altra foto di Sara con in mano un verme, e la scritta: “Grazie di cuore, da Il Verme”.