Anguilla è andato a prenderlo prima dell’alba, roteando la piccozza e sbattendo gli scarponi sul selciato dell’ingresso, impaziente. Ha insistito per iniziare la scalata a un’ora infame, ma adesso che intravedono la vetta, Benvenuto ingoia le lamentele con gli occhi stipati dalla meraviglia: la Cima del Rio Freddo occhieggia dalle nuvole basse, squarciando le conifere rigogliose con maestosi crepacci. Più in là, la valle, abbagliata dal sole, sfavilla di verdi e azzurri.
Si fermano a riprender fiato davanti a una biforcazione, leggono le indicazioni.
«Portano entrambe al rifugio... ci dividiamo?»
«E vediamo chi arriva prima? Fatta! Io di qua».
Nuto si rimbocca le maniche e prende il sentiero più agevole, immergendosi tra i vapori biancastri con la sensazione di respirare nuvole. Percorsi alcuni metri si arresta, attonito. La foschia si addensa, prende corpo sugli aghi di pino.
Aria che somiglia a saliva, bava. Volute chiare si intrecciano e in pochi istanti, sotto gli occhi sgranati del ragazzo, plasmano una creatura. Scuote un capo deforme e squamoso; corna, zanne e tentacoli si confondono e mischiano, a modellare un tronco, arti, protuberanze che allungandosi schiariscono. Si ode un ghigno di cattiveria mentre una lingua di vapore saetta verso Nuto e gli lacera un avambraccio. Non può scacciarla, non si ferma: strappa via la pelle in brandelli minuscoli, frenetica, poi lembi di muscoli, gettandoli in aria, a piovere; infine le ossa. Le spezza e comincia a succhiare il midollo. Nuto tampona come può, grida, inorridisce. Scivola sulle rocce insudiciate dal sangue.
Quando gli attacca l’altro braccio vorrebbe svenire, con le cosce, morire. Non accade.
È un elicottero ad avvistarne il corpo, in fondo all’orrido: pare uno straccio bagnato, ma è ancora tiepido. Anguilla si strugge, piange, ma non sono riusciti a individuarlo prima.