«Cosa stai disegnando?»
La maestra osservava dall’alto il foglio a quadretti sul banco. Non mi ero accorto che mi stesse guardando.
«Ehm... un gatto.»
«Avevo detto di leggere a pagina ventitré, non di disegnare. Portami subito il diario che ti faccio una nota. E dammi quel foglio.»
Il pezzo di carta dove avevo raffigurato il gatto finì, appallottolato, nel cestino. Ero sicuro che a Meo non sarebbe piaciuto come la maestra mi aveva trattato.
Il giorno seguente entrò in classe una supplente. Ricordo che, quando andammo al funerale della maestra, si diceva che l’avessero trovata in una pozza di sangue.
«Ma che fai? Io ti dico che tra noi è finita e tu disegni?»
La ragazza bionda, di fronte a me, era su tutte le furie.
«Volevo lasciarti un mio ricordo.»
Schizzai Meo in fretta e furia e le porsi il tovagliolo di carta dove lo avevo ritratto.
«Tu sei pazzo, fatti curare!»
Uscì dal locale sbattendo la porta. Non la vidi mai più. Nessuno la vide più.
Il capoufficio era visibilmente soddisfatto. Gli porsi la busta.
«Finalmente sono riuscito a farti dimettere!» mi disse, con la gioia negli occhi.
Quando aprì il foglio il sorriso gli morì sulle labbra. Si aspettava la mia lettera di licenziamento, invece vide un gatto disegnato.
Uscii dall’ufficio mentre ancora sbraitava. Lo trovò la donna di servizio, il giorno dopo, ancora davanti alla scrivania. E non fu un bello spettacolo.
Clicco sul bottone “Invia”. L’email appare, come per magia, nella casella della “posta inviata”. Di lì a pochi giorni il sito avrebbe pubblicato online il mio racconto. Insieme al disegno. Di Meo. E in tanti lo avrebbero letto e giudicato. A me non piace chi giudica brutto un mio racconto. E neppure a Meo.