Terrore nella notte

Le monotone pianure a est del fiume Arkansas erano ormai un ricordo. Aveva attraversato il tortuoso corso d’acqua dalle parti di Little Rock e ora stava seguendo una pista nel paesaggio ondulato e boscoso delle Ouachita Mountains. Aveva lasciato Memphis una settimana prima. La sua meta era il Texas, dove intendeva fare soldi prestando la sua opera nel settore bestiame. Vagheggiava la possibilità di arricchirsi con un po’ di fortuna e di intraprendenza, prima aiutando a trasferire le mandrie nei mercati del nord e poi, magari, mettendosi in proprio. Virgil Samuelson aveva voglia di lavorare. Da un bel po’ di tempo aveva messo la testa a posto e faceva di tutto per tenersi lontano dai guai.
Quando vide la casupola, in mezzo a una radura, il sole era ormai sulla linea dell’orizzonte. L’aria autunnale era immota. Accarezzò il cavallo sudato. Sia lui che il suo fedele animale avevano bisogno di riposo.
Sembrava un piccolo ranch, solo che non si vedevano intorno staccionate o recinti, né segni di attività agricola. Un piccolo orticello infestato dalle erbacce si trovava a ridosso della costruzione in legno. Il tutto dava una senso di abbandono.
Virgil sapeva che la gente, da quelle parti, era diffidente, ma confidava nella sua faccia pulita e nel fatto che viaggiava solo. L’idea di scambiare quattro chiacchiere lo allettava. E avrebbe dormito anche all’esterno, stendendo il suo sacco a pelo sulla piccola veranda.
L’uomo comparve sulla soglia. Imbracciava un lungo fucile Sharp per la caccia ai bisonti e non aveva un’aria amichevole.
- Che volete?

Virgil si tolse il cappello in segno di saluto e si passò una mano sulla guancia. – Non ho cattive intenzioni. Sono di passaggio... Vado in Texas.
Il padrone di casa fece un passo avanti e il viso venne illuminato dalla luce del sole calante. Era anziano e mezzo pellerossa. Aveva capelli bianchi, l’abbigliamento tipico degli indiani. Forse un Comanche.
- Venite dentro – disse il vecchio, guardandosi intorno con circospezione. – Il sole sta tramontando... Non è prudente trovarsi fuori con le tenebre.
Solo più tardi Virgil venne a sapere che era di origine francese, catturato e allevato da una sopravvissuta tribù di Pawnee. Glielo raccontò davanti a un piatto di legnoso stufato con fagioli, mentre un lume a petrolio illuminava il tetro locale. Un fuoco scoppiettava nel camino, ma non riusciva a riscaldare una casa dove un uomo solo trascinava i suoi giorni in solitudine.
- Luna d’Argento mi ha lasciato cinque anni fa.
- Come morì?
- Bevete – lo invitò il vecchio. E gli versò del whiskey nella tazza di alluminio.
Qualcosa fece rumore all’esterno. Forse il vento che da poco si era levato e soffiava con uno strano lamento.
Virgil rifece la domanda e aggiunse: - Perché vivete da solo in questo luogo sperduto?
L’altro si strinse nelle spalle. – Nessuno mi vuole, né i bianchi, né gli indiani. Luna d’Argento era una squaw che apparteneva al nostro capo Lupo Affamato. Gliela ho portata via e sono venuto con lei a vivere tra queste colline. Ma poi loro me l’hanno uccisa.
- Loro... chi?
- I mostri della montagna. Da quando i bianchi hanno sventrato le pendici del Blue Mountain in cerca della pietra nera, tra questi boschi non c’è più pace, la notte. – Fece una pausa. – Si aggirano nelle tenebre, pronti a divorare chiunque non si sia riparato tra quattro mura domestiche. Ci abitano pochissime persone, in questi boschi... e sono tutte terrorizzate.
- E i minatori, che fine hanno fatto?
- Se ne sono andati da molto tempo. Il loro lavoro ha reso praticamente nulla. Hanno violato la natura, ridestando gli spiriti del sottosuolo.
Il vento fece udire un lugubre gemito.

 

Il lume era spento. Solo la brace rosseggiava nel camino. Il vento si era calmato.
Il vecchio, che si era messo a russare dietro un paravento tutto sbrindellato, ora era silenzioso. Virgil non riusciva a prendere sonno, ma non per la scomoda sistemazione.
All’esterno si sentivano strani rumori. Al giovane cowboy la casupola sembrava sospesa sull’orlo di un baratro. Ogni tanto era percorsa da una specie di vibrazione. L’unica manifestazione di carattere domestico era l’irrequietezza del suo cavallo, rinchiuso nel locale adiacente che fungeva da deposito
Poi quegli strani passi... Risuonarono sulle assi sconnesse della veranda. Virgil chiamò il vecchio, ma non ottenne risposta.
Adesso aveva paura. C’era qualcuno là fuori. Si tirò su a sedere e impugnò la pistola.
Quello che sentì, a un certo punto, fu un sibilo sinistro. La porta venne strattonata, come se qualcuno cercasse di aprirla. Per fortuna l’unica finestra era dotata di inferiate.
- Chi va là? – gridò, facendo scattare il cane del revolver. I rumori cessarono ed ebbe quasi la sensazione che la misteriosa entità si fosse allontanata.
Chiamò ancora il vecchio, invano. Pensò di alzarsi e andare a svegliarlo, ma l’operazione gli sembrò superiore alle sue forze. Stranamente le gambe non volevano rispondere al suo comando. Poi nel silenzio si assopì.

 

La luce filtrava dalla finestrella.
Virgil si rese conto di avere dormito per il resto della notte. Teneva ancora in mano la pistola. Si guardò intorno e constatò l’estremo abbandono in cui si trovava il locale. Nel camino c’erano tizzoni ormai spenti. Si alzò in piedi e andò a vedere se il vecchio era ancora coricato. Niente e nessuno si trovava dietro il logoro separé.
Allora Virgil ebbe la sensazione di essere sempre stato solo in quella casupola tra i boschi dell’Arkansas. E quando uscì, nella luce del sole mattutino, si rese conto che il luogo era davvero abbandonato.
Fece uscire il cavallo dalla piccola stalla improvvisata e si accinse a partire.
Quando fu in cima alla collina, guardò verso la radura, dove la casa gli apparve per l’ultima volta. Non sembrava quel rudere che invece gli era apparso al risveglio. Anzi, gli parve di vedere una lingua di fumo azzurrognolo uscire dal camino.
Stette un attimo a guardare laggiù, poi diede uno strattone di redini e lanciò il suo animale al galoppo. Voleva mettere maggiore distanza possibile dal quel luogo, prima che calassero di nuovo le tenebre.

Giuseppe Novellino