La sete della disperazione

Il soggetto non rispondeva all’atropina. Il cuore era fermo da più di otto minuti. Inutili i tentativi di rianimarlo, ormai il cervello era compromesso. Clinicamente morto.
Giacomo Delbosso. Maschio bianco di 34 anni. Alto un metro e settantacinque. Disoccupato. Stava sdraiato sul letto chirurgico in cui operavo, immobile, freddo.
Lo fissavo. Guardavo il mio lavoro. Eppure glielo dissi: i rischi dell’intervento erano troppo alti. Ma lui non voleva sentire e io avevo un disperato bisogno di soldi per dimostrare al mondo la validità dei miei studi.

 

Prima dell’operazione.
- Dottore, non ho nulla da perdere. Ho saputo delle sue ricerche, della possibilità di vincere la morte. Dottore, non mi cacci. Mi faccia entrare nel suo studio. Sono un uomo disperato. La prego.
Così conobbi Delbosso, la prima volta, al citofono. Stavo per uscire e lui suonò il campanello. Delbosso. Se solo fossi uscito prima.
- Grazie dottore per il suo tempo. Sono malato. Sto per morire. E ho paura. In questa valigetta ho cinquecentomila euro in contanti. So che le servono per le sue ricerche. Aspetti! Non dica niente. Le garantisco che è tutto a posto. Qui ci sono i risultati di alcune analisi. Vede? Ho il cancro al pancreas. Sono spacciato. Questi soldi, invece, li ho presi dal mio conto in banca, dalla vendita della mia casa. E’ tutto documentato. La prego, non mi cacci, mi aiuti.
Delbosso era un condannato. Aveva due mesi di tempo. Dopodiché per lui c’era solo l’ignoto. Qualcuno gli aveva spifferato del mio lavoro, delle mie ricerche su come bypassare la morte grazie al fenomeno dell’interferenza bidimensionale: un evento rarissimo in natura ma ricreabile in laboratorio.

L’idea è quella di essere né vivi né morti, ma esserlo in entrambi i casi. In una dimensione parallela un corpo morto, nell’altra un corpo vivo, sano e compatibile. In sostanza lo spirito del paziente avrebbe dovuto agganciare, o meglio, possedere il corpo gemello di una realtà parallela alla nostra. Questo avrebbe dato la possibilità di creare un essere ibrido, né morto né vivo, ma capace di esistere ancora sia in una che nell’altra dimensione.
Lo spirito del paziente avrebbe fatto quindi da ponte quantistico. La parte più difficile era identificare una delle infinite realtà parallele alla nostra, dove poteva esistere un altro Giacomo Delbosso, possibilmente in salute.

 

L’operazione.
- Si sdrai qui. Come le ho spiegato le inietterò del cloruro di potassio per fermarle il cuore. Una volta deceduto la sua anima verrà proiettata nella dimensione da me designata e quando avrà trovato il suo “ospite” lei riprenderà nuovamente vita, sia nell’una che nell’altra dimensione. Se però nei due minuti non avrà agganciato il suo partner, la rianimerò con una iniezione al cuore di atropina. Non le prometto niente. E’ ancora deciso a continuare?
- Sì.
Gli occhi di un condannato fanno sempre male. Ti fanno sentire complice di una colpa che non hai, la colpa di poter continuare a vivere ancora, mentre guardi da un posto privilegiato quello che prima o poi spetterà anche a te. Delbosso aveva quello sguardo. Mentre dentro di me pensavo a tutta la follia di questa nuova scienza.

 

I primi due minuti.
Centoventi secondi. Il paziente è pronto a trasmettere. La dimensione è stata aperta. Sta cercando.
Settanta secondi. Primi segni di compatibilità. E’ stato identificato il corpo. Questo però fa resistenza, non vuole essere posseduto.
Dieci secondi. Mi appresto ad iniettare l’atropina. Quattro, tre, due, uno.
Zero secondi. Insuccesso. Il paziente non è riuscito a possedere il corpo. Primo tentativo di rianimarlo: fallito.

 

Il dopo.
Falliti anche il secondo e il terzo tentativo. Ormai sono passati otto minuti. L’ho perso.
Mi sdraiai su un altro lettino a pensare. Al mondo non c’è miscela più esplosiva di due uomini disperati messi insieme. Sicuramente ci sarebbe stata la polizia, poi le domande. Non sapevo cosa fare. Poi, nel silenzio, il citofono dello studio squillò ancora una volta.
- Dottore, non ho nulla da perdere. Ho saputo delle sue ricerche, della possibilità di vincere la morte. Dottore, non mi cacci. Mi faccia entrare nel suo studio. Sono un uomo disperato. La prego.
Era la voce di Delbosso. E con sé aveva una valigetta piena di soldi.

Carlo-Maria Negri