Ero

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2015 - edizione 7

Sangue. Molto sangue. Carne in abbondanza. Non riesco a concentrarmi. Sono assetata e affamata. Mi guardo intorno. Vedo gente che corre per strada. Corro anch’io. Riesco a raggiungere una donna. Mi butto su di lei e la scaravento per terra. Con un grugnito in segno di vittoria, affondo i denti sulla sua morbida carne e la mangio con voracità. Il sapore di quel corpo scatena in me una voragine che sembra non trovare fine. Ho fame. Ho fame. Ho fame. Un fischio mi distrae. Qualcosa mi colpisce con violenza la spalla. Uno sparo. Non sento dolore, non sento niente, ma mi ritrovo sdraiata sull’asfalto. Per quanto mi sforzi, non riesco a tirarmi su. Stesa, con lo sguardo rivolto verso il cielo, fisso il vuoto. Immagini sfocate mi passano davanti e pian piano si fanno più nitide nella mia mente. Immagini di quando qualche giorno fa tutto ebbe inizio. Ricordo che vivevo in campagna con i miei genitori. Ero una pittrice. Amavo dipingere le emozioni che solo la natura sapeva regalarmi.

Esponevo quadri nei musei più importanti. Ero famosa per i miei paesaggi. Quella mattina avevo preparato il caffè e scambiato due chiacchiere con la mamma. In giardino papà era intento a potare le ortensie. Un saluto veloce e via, con il mio blocco dei disegni e le mie care matite sommersa nel verde dei nostri campi. Mi sentivo una romantica sognatrice. Sorrisi a questo pensiero, ma un urlo mi risvegliò dai miei sogni. L’urlo di una donna, mia madre. Mi sentii ghiacciare il sangue. Cominciai a correre verso casa con la paura di mille pensieri negativi. Mio padre stava male? Non ero ancora giunta sul posto che intravidi da lontano due figure. Mi sentii pietrificare. La scena che mi si presentò davanti fu alquanto strana e raccapricciante. Una di loro stava... mordendo? Sì, avevo visto bene, mordendo l’altra che si trovava distesa, senza vita. Mi avvicinai quasi in punta di piedi, come per non far sentire la mia presenza e cercare di osservare meglio. Ero incredula. Un essere, un tempo chiamato anche “umano”, stava finendo di mangiarsi quello che era rimasto del braccio di mio padre. Fui in procinto di urlare, quando venni aggredita e buttata per terra da... non potevo credere ai miei occhi... mia madre... la riconobbi subito, ma non era più lei. Sporca di sangue, emetteva strani versi con la bocca e sbavava come un cane rabbioso. La sentivo sopra di me con una forza che sapevo non essere sua. I suoi denti cercavano la mia carne. Tra calci e pugni, cercai di colpirla il più possibile. La mente era offuscata dalla paura. Riuscii a divincolarmi. Cominciai a correre. Senza voltarmi, senza sapere nemmeno dove andare. Scappa! Era l’unico pensiero. Urla, disperazione, sangue. Ovunque. E il dolore per una ferita che non sapevo di avere. Un morso su un braccio. Svenni piangendo. E ora comprendo cosa fosse successo dopo. “Uccidila” sento urlare dall’alto del mio sguardo con una pistola puntata su di me. Sorrido. Forse troverò pace. Non lo so. Ero una pittrice. Ero.

Ilenia Ermini