La ragazza, seduta sulla panchina del parco, stringeva tra le mani un cellulare, intenta a scrivere un messaggio. Le fioche luci dei pochi lampioni, disseminati in maniera irregolare, iniziarono ad accendersi, attirando i primi insetti.
Una grossa falena, svolazzandole accanto con fare incerto, catturò per un istante la sua attenzione. Poi la giovane si ributtò a capofitto sul suo telefonino, dimentica di tutto.
Persino della notte incombente.
Non aveva più di vent’anni. I capelli, neri e setosi, incorniciavano un viso dolce, che conservava i tratti infantili. Il corpo era però quello di una donna, e lei sembrava non fare nulla per nasconderlo. I suoi abiti erano troppo succinti anche per il torrido mese di luglio, ormai alle porte. Di sicuro inadatti per aggirarsi sola, di sera, in un luogo tanto isolato.
Quando si accorse dell’uomo era già troppo tardi.
“Aspetti il tuo fidanzato?” le chiese sedendosi accanto. Puzzava di vino e tabacco.
Neppure il tempo di alzarsi per andarsene, che lui la afferrò per un braccio. Le mani callose, ruvide come carta vetrata, brutali. Con un gesto repentino la giovane riuscì a divincolarsi. Il cellulare cadde a terra, rompendosi. La ragazza iniziò a correre, ma l’uscita del parco era distante, i tacchi delle scarpe troppo alti. E il sentiero, ormai scuro, pieno di asperità e insidie.
Nei dintorni nessuno, solo lei e quell’uomo lanciato all’inseguimento, colmo di eccitazione.
Quando la fanciulla inciampò, lui esplose in un’esclamazione catarrosa. In un attimo le fu sopra, per strapparle con violenza la maglietta. Poi l’aggressore si guardò intorno, e, forse sentendosi poco sicuro, la scaraventò dentro un cespuglio lì accanto, incurante delle decine di tagli che quei sottili rami avrebbero prodotto sulla pelle sua e della preda.
Il verde scuro della vegetazione impregnata del buio della sera si striò di lampi cremisi.
Rumori di fronde spezzate, indumenti ridotti a brandelli. Uno schiaffo, una lotta disperata. Grida che si fecero rantoli strozzati, soffocati.
Poi, per alcuni minuti, il silenzio.
Infine la ragazza uscì seminuda dal fogliame, madida di sudore, lorda di terra e di sangue. I capelli bagnati e incrostati le si erano appiccicati al viso, le gambe erano ricoperte di graffi.
I suoi occhi, simili a quelli di un ratto, brillarono nell’oscurità, emanando lampi di luce maligna.
La sua bocca era zeppa di carne: brandelli strappati con atavica fame dal corpo maciullato del suo assalitore.
Una risata echeggiò tra le nere chiome degli alberi, segnale di scherno di chi si era appena divertito con l’ennesima vittima.
E così, la lamia, consumato il suo immondo pasto, si allontanò dal parco, inghiottita dal buio.