Il pingue nanetto si avviava verso l'automobile, faceva freddo, un aria gelida tagliava le ossa cercando di cristallizzarne il midollo.
Eppure qualcosa scaldava il ventre del tizio, un coacervo di immagini non ancora disgregate dal sonno appena infranto.
Turni di notte, che noia, se non fosse per i piacevoli svaghi mai sopiti della propria mente, grovigli di speranze pornografiche represse, ragazze che a lavoro avrebbero sorriso, si sarebbero chinate, mostrando lembi di carne intravista e da scoprire, sobbalzi pettorali di grosse tette il cui pudore viene distratto dalla foga del lavoro.
Tutto ciò era per lui, uno spettacolo messo in piedi unicamente per il suo piacere, o almeno così lui credeva, quei pensieri erano indelebili come un impronta calcata nella sua mente masturbatorea.
Montò in macchina, una leggera erezione aveva vinto il freddo, pensò a dei nomi, nomi femminili, chi si sarebbe chinata per prima? A quale di quelle troiette avrebbe spiato per primo i glutei posti in bella mostra?
Il placido torpore svanì di colpo, vide solo un ombra, enorme, oscura come quella di un orso, che però pareva un lampo.
Il parabrezza della macchina si schiantò in mille pezzi, un oggetto contundente ci si era abbattuto sopra con pesantezza, penetrando nell'abitacolo e spappolando la mascella del passeggero.
Il terrore pompò il sangue a mille, adesso non si trattava più di torpore, bensì di fuoco, roghi di paura che infiammavano il corpo del masturbatore incallito.
Qualcuno aprì la portiera, un gigante o qualcosa di simile, la sua presenza era opprimente, incombeva asfissiando, così come il pregnante odore della pelle nera che aderiva alle sue braccia enormi.
Una mano inguantata, anch'essa ricoperta di cuoio, strinse la nuca grassoccia del tizio, il dolore alla mascella si stava assestando, cominciava a indurre lacrime copiose e conati di vomito.
Venne catapultato sull'asfalto, con la spinta di quell'unico arto che lo aveva afferrato, per terra, stordito ma terribilmente cosciente, il masturbatore potė vedere con chiarezza colui che gli stava innanzi.
Brandiva uno spadone, da usare a due mani a giudicar dall'impugnatura, ma lui la brandiva con dimestichezza con la mano libera, ostentò questo suo mesto potere, poi lentamente appoggiò la spessa lama, molto simile a una mazza di ferro, sulla propria spalla.
Il suo volto non era chiaro nella notte, pareva però pallido, cadaverico, eburneo come quello di uno spettro.
Il colosso issò lo spadone sulla propria testa, indugiò ammirando la paura sul volto della sua vittima, poi abbatté la lama sulla rotula, in un colpo secco e maestoso.
La lama non era affilata, era stata concepita più per spezzare che per tagliare, cosa che fece, la gamba si accartocciò sotto il colpo, nessuno, badava alle grida nel parcheggio inghiottito da sbuffi maligni di nebbia, i grilli frinivano, reclamando il sangue in una macabra canzone dedicata alle tenebre.
Lo spadone cadde poi nuovamente sulla schiena dell'uomo rannicchiato sull'asfalto, che pensò bene di fingersi morto dopo quel colpo che forse lo aveva paralizzato per sempre.
Ma udì il clangore del ferro abbandonato con violenza sul cofano della sua automobile, allora aprì gli occhi, ma no, il gigante non stava andando via, srotolò una catena, lunga quanto una delle sue gambe.
Cominciò a farla roteare in aria, quel sibilo era agghiacciante, più volte, le maglie d'acciaio si schiantarono contro quegli esterrefatti sopraccigli che spaccandosi miserevolmente aprirono i getti fascinosi di fontane di sangue.
"La tua bocca è spaccata e non puoi parlare, i tuoi arti spezzati e non puoi muoverti, i tuoi occhi sono sfondati e non puoi guardare..."
Il gigante gettò in terra la catena, accanto al corpo contorto, mugolante e orribilmente contuso, l'uomo trasalì nell'udire quel suono, ma allo stesso tempo un pesante calcio fracassò il suo timpano, e i suoni circostanti non divennero altro che dolore.
Qualcosa poi gli spezzò le mani, forse la spada-bastone, poiché era quello il violentissimo stile del colpo.
"Le tue orecchie non possono udire né le tue mani toccare..."
La bestia era su di lui, in piedi, con uno scarpone a far pressione contro la sua guancia tumefatta.
"Ma vedi, anche in queste condizioni tu sei ripugnante e affatto innocuo agli occhi della giustizia del nostro creatore..."
Spinse ancora di più lo scarpone, sembrava che il cervello dovesse esplodere dalle orecchie e dagli occhi.
"Poiché è la tua mente, la tua anima, queste due cose inscindibili dal corpo, sono queste due cose a renderti sporco e spregevole."
Il piede venne sollevato, ricadde giù con violenza, ed il cranio si spappolò emettendo un sinistro scricchiolio.
Quello che restò sull'asfalto, non era che una parvenza umana, un pezzo di carne smembrato, devastato, semplicemente sfasciato con brutale criterio di logica folle.
"Ringraziami porco, poiché ben più furioso, può essere l'occhio di Dio!"
Igor Vetusta si allontanò dal parcheggio, aveva raschiato via il male dal mondo, anche quella notte.