"Good enough was good enough for me, as it should always be"
La voce di Tony Kakko accompagna i miei passi verso il luogo dell'incontro.
Ho fame, lo stomaco che brontola. Avrei dovuto mettere in borsa qualcosa da
sgranocchiare. Dei biscotti, magari. O dei crackers. Sì. I crackers sarebbero
stati la cosa migliore.
Invece niente. Non ho messo in borsa niente ed ora ho fame, lo stomaco che
brontola.
Sono stufa di camminare, sono stufa di vedere la gente che si gira a guardarmi.
Sono stufa di abbassare la testa ogni volta che incrocio qualcuno, sono stufa di
vedere tutti questi uomini che mi fissano.
Se c'è una cosa che odio è l'effetto che faccio agli uomini. Mi guardano come se
non avessero mai visto una donna, mi guardano come se fossi una preda, mi
guardano come se volessero strapparmi i vestiti lì, su due piedi.
Eppure non sono bella, non sono magra, non sono alta. Non credo di essere sexy,
ma forse lo sono, altrimenti non si comporterebbero così.
Ogni tanto mi chiedo a cosa pensano quando mi guardano. A volte mi rispondo che
pensano ad una cosa sola, altre volte concedo loro il beneficio del dubbio.
Magari, mi dico, pensano che assomiglio a qualcuna che conoscono, oppure pensano
che ho proprio un bel taglio di capelli, che starebbe davvero bene anche alle
loro mogli.
Cammino a testa alta, oggi. Me ne frego di quello che pensano, me ne frego di
come mi squadrano, di come il loro sguardo si sofferma sul mio seno, per poi
salire agli occhi.
Sorridono tutti, quando mi guardano.
Dovrei essere felice di far sorridere le persone, ma le loro espressioni mi
danno solamente fastidio.
Guardo l'orologio e mi accorgo di essere in largo anticipo, come al mio solito.
Mi siedo sulla panchina e aspetto. In realtà, pensandoci, mi accorgo che non sto
aspettando lui, ma sto aspettando che mi dia buca, che mi dica che non ci
vediamo, che non riesce a liberarsi.
Sto aspettando che tiri fuori l'ennesima scusa. E' da così tanto tempo che non
lo vedo che quasi non mi ricordo che faccia ha. Sono settimane che posticipa,
che ha da fare, che non riesce ad organizzarsi.
Stavolta sono qui per chiudere la questione. Non ne posso più di stare così, di
continuare a sperare, appesa ad un filo. Oggi lo vedrò per l'ultima volta, lo
saluterò e me ne andrò per la mia strada.
Certo, sempre che lui non disdica all'ultimo. Ecco, appunto. Un messaggio. E'
lui.
Mi dice che ha appena parcheggiato. Chiede dove sono. Mi chiede di raggiungerlo
al parcheggio.
Mi alzo di scatto dalla panchina. Un paio di piccioni volano via, spaventati.
Un ragazzo in bicicletta mi guarda e sorride. Continua a guardarmi e rischia di
finire addosso ad una signora che cammina nel verso opposto. Mi metto a ridere.
Mi avvicino al parcheggio e vedo la sua auto in lontananza, lui in piedi,
appoggiato alla portiera.
Mi guarda e sorride. Il suo sorriso mi fa morire. Non riuscirò mai a
dimenticarmi di lui.
Mi chiede come sto. Non so cosa rispondergli. Gli dico che sono stanca.
Mi dice di salire in macchina ed io lo faccio. Qualunque cosa mi dica diventa un
ordine per me.
Mi tocca una gamba e mi sorride. Tutto il mio corpo è scosso da una quantità
infinita di brividi.
Ho una voglia folle di baciarlo. Mi accorgo di avere un sorriso ebete stampato
in faccia. Per fortuna lui sta guidando e probabilmente non se n'è accorto.
Ci fermiamo nel parcheggio di casa sua. Mi chiede se mi va di salire.
Tutto così scontato.
Ovvio che mi va, gli dico. Mi avvicino a lui e lo guardo, con uno sguardo che
lascia ben poco all'immaginazione. Lui mi sorride e scuote la testa. Si
allontana e si avvia verso la porta.
Rimango indietro e guardo la sua schiena perfetta, immaginando attraverso la
maglietta attillata le linee scolpite della sua muscolatura.
Lo seguo, continuando a chiedermi quale fosse il significato di quello sguardo,
di quel sorriso, di quel suo scuotere la testa.
Entriamo nel suo appartamento e noto subito che c'è qualcosa di diverso, anche
se non riesco a focalizzare cosa sia.
Chiude la porta alle nostre spalle e, stranamente, mi sento in trappola.
Ho ancora quella strana sensazione che ci sia qualcosa che non va.
Il suo sorriso ha qualcosa di diverso, così come il suo sguardo.
Non saprei come definirlo. Cattivo? Malvagio? Ma credo sia solo una mia
impressione. Dev'essere il mio inconscio che cerca di farmi allontanare da lui
in ogni modo.
Il mio inconscio ha ragione, senza dubbio. Non mi fa di certo stare bene stare
con lui, continuare a vederlo, sperando che qualcosa possa cambiare, sperando
che un giorno si accorga di amarmi.
Mi abbraccia, mi stringe forte.
Molto forte.
Troppo forte.
Cerco di divincolarmi ma non ci riesco.
Gli dico che mi fa male e lui allenta la presa.
Si scusa, ma ha ancora quella strana espressione sul viso.
Non capisco. E' piuttosto inquietante. Inizio ad avere paura.
Andando verso la porta gli dico che voglio andarmene.
Lui si avvicina. Camminando sposta la testa da una parte e dall'altra. Destra,
sinistra, destra, sinistra.
Si muove in un modo strano, scoordinato, sconnesso, quasi a scatti. Sembra che
cammini sulle punte. Potrebbe benissimo essere il protagonista di un video di
Marilyn Manson.
Arretro ancora, fino a sentire la porta dietro di me.
Non posso indietreggiare più di così.
Il suo sorriso si trasforma in una smorfia, la sua bocca sembra strapparsi agli
angoli, si allarga sempre di più.
La pelle del viso si alza, mostrando la carne viva.
Lui continua ad avvicinarsi, un passo alla volta, molto lentamente.
E' come se la pelle gli si staccasse da sola, come se avesse vita propria.
Ormai è irriconoscibile. Camminando si trascina dietro una scia di sangue.
Vorrei urlare ma non ci riesco.
Si ferma e mi guarda.
Il suo corpo, una volta bellissimo, così perfetto da sembrare scolpito in un
bianco blocco di marmo di Carrara, ora è completamente scuoiato, i muscoli, i
tendini, tutto in bella vista.
Lo guardo, mentre avanza ancora, lentamente, verso di me.
Lo guardo negli occhi e faccio un passo verso di lui.
Si ferma, mi guarda con aria interrogativa.
“Perché mi vieni incontro? Non vedi cosa sono? Non vedi come sono in realtà?
Dovresti aver paura di me, dovresti scappare, non dovresti più voler avere a che
fare con me”.
Gli sorrido e lo bacio sulle labbra.
“Ti ho sempre detto” gli dico “che non era il tuo aspetto a piacermi. E ora che
ti sei fidato così tanto di me da mostrarti per come sei realmente, non posso
far altro che amarti ancora di più. Non ti lascerò mai, lo sai, qualunque cosa
accada. Perché tu sei tutto quello che voglio, perché senza di te mi manca
l'aria, perché ti amo e ti amerò fino alla fine dei miei giorni”.
Sorride, se sorriso si può chiamare la smorfia che compare su quello che rimane
del suo volto, e mi abbraccia.
Per la prima volta mi dimostra ciò che prova per me, per la prima volta senza
filtri, per la prima volta senza difese.