Lo smartphone squilla nel vano portaoggetti dell’abitacolo. Si illumina lo schermo. Mauro ci butta un occhio, distogliendo lo sguardo dall’autostrada, che corre davanti a lui nella notte. A chiamarlo è Francesco, un amico. Fa scorrere il dito sullo schermo per aprire la chiamata. Quando viaggia tiene quasi sempre gli auricolari, se non ascolta la radio: ovattano piacevolmente il rumore del motore.
«Pronto, France’.», dice. «Tutto a posto?»
«Tutto bene, ma se non mi faccio sentire io...»
«Lascia stare, son stato incasinato tra un lavoro e l’altro.»
«Dov’è che sei, che sento male?»
«In autostrada.», alza un po’ la voce Mauro. «Sto rientrando dal weekend. Son stato un po’ in giro con quella ragazza che ho conosciuto in chat. Sta al mare, così mi sono fatto due giorni da lei.»
«Per il resto, tutto okay?»
«Bene bene. Quando ci vediamo?»
«Martedì sera tieniti libero, che Gianluca ha organizzato per l’addio al celibato di Stefano.»
«Ah già, che si sposa. Proprio sicuro, allora?»
«Boh, convinto lui. A noi che ce frega, andiamo a fare un po’ di bordello.»
«D’accordo, dai. Ci sono.»
Un blip dello smartphone lo avvisa che è caduta la linea. Butta di nuovo un occhio allo schermo, che resta illuminato per qualche secondo, e vede che a sinistra in alto è apparso l’avviso verde di WhatsApp, l’applicazione dei messaggi gratuiti: qualcuno gli ha scritto. Prende lo smartphone, che in questo momento non ha campo, e appoggia il polpastrello sull’icona dell’applicazione, che si apre subito. Guardando un po’ la strada e un po’ lo schermo, vede che gli ha mandato un messaggio un numero sconosciuto: qualcuno che si fa chiamare DeathsApp. Guarda la foto a fianco del nome per capire se gli dice qualcosa, ma capisce subito che è il fotogramma di un qualche film horror: un bambino cinese con gli occhi tutti neri e la bocca spalancata in un urlo.
Sarà qualche amico deficiente, pensa. Probabilmente proprio Gianluca, lui è fissato con ‘sta roba, che andava di moda dieci anni fa.
Apre il messaggio, rallentando l’andatura, perché il traffico in quel tratto è più intenso ed è iniziata a venir giù una pioggerella che rende il fondo stradale viscoso. Legge.
“QUESTA NOTTE MORIRAI”, è scritto in tutte maiuscole nel riquadro del messaggio, che apre una nuova conversazione.
“Cerca di essere più originale”, digita in fretta, con il polpastrello del pollice. “Stupiscimi.”
Subito appare la risposta: “TI RESTANO CINQUE MINUTI”.
“Chi sei?”
“LA MORTE”
“Gianluca, vero?”
“NO, SONO LA MORTE”
Mauro guarda la strada. È indeciso se bloccare quell’utente o proseguire il dialogo, che forse dovrebbe far ridere. Finora, a dire la verità, non gli è sembrato molto divertente. Si trattiene dallo scrivere qualche insulto, sempre nel dubbio di avere a che fare con un amico, anziché uno psicopatico, che in qualche modo ha trovato il suo numero, magari digitando a caso.
Dovrei richiamare Francesco, pensa.
Lo schermo dello smartphone si è oscurato, così lo sfiora col dito e quello si illumina di nuovo. Legge l’ultimo messaggio di DeathsApp: “VUOI SAPERE COME SUCCEDE?”
“Cosa?”, digita.
“COME MORIRAI”
“Chi cazzo sei?”, scrive d’impulso.
“TI FACCIO VEDERE”
Sullo schermo appare il riquadro di un video in arrivo, con l’unica immagine visibile molto indistinta. Per scaricarlo, Mauro deve appoggiarci il dito. Esita un attimo, poi lo fa e si avvia il download. È un video di trenta secondi, ma impiega un po’ ad essere scaricato.
Mauro si concentra sulla strada che ha davanti e lo schermo dello smartphone diventa di nuovo nero. Picchietta sul volante con le dita, nervoso. La pioggia si è fatta più pesante, ma il traffico si è un po’ diradato. I tergicristalli vanno e vengono rapidi sul parabrezza. Mauro cerca di nascondere a se stesso che quegli ultimi messaggi gli hanno messo addosso un po’ d’ansia. L’abitacolo gli sembra troppo buio e vuoto. Non è sicuro di voler vedere il video che sta scaricando: su Internet girano un sacco di schifezze.
Lo squillo dello smartphone nelle cuffie lo fa sobbalzare. È di nuovo Francesco. Quasi sollevato di poter parlare con l’amico, prende la chiamata, facendo scorrere il dito sullo schermo.
«Era caduta la linea.», dice.
«Me ne sono accorto. Richiamare no, eh?»
«Scusami, messaggi.»
«Sempre donne che ti cercano, bravo bravo.»
«Macché... Comunque per martedì va bene, ci sono.»
«Oh, tutto a posto?»
«Certo, perché?»
«Mah... C’hai ‘na voce! Pare che t’è morto il gatto.»
«No no, niente.», si schermisce Mauro. «Tutto bene.»
«Dai, allora ci vediamo martedì.»
«Okay.»
«Ti chiamo domani per dirti posto e ora.»
«Grazie, ciao France’.»
«E nun fare che poi ce dai pacco, eh?»
«No no, tranquillo, ciao.»
Il silenzio nelle cuffie dell’auricolare gli pesa. Dà un’occhiata allo schermo e vede che c’è di nuovo l’avviso verde, in alto a sinistra. Sorpassa un tir, rientra in carreggiata e guarda cosa gli è arrivato. Il video è stato scaricato ed è pronto da visualizzare. Sotto, c’è un nuovo messaggio di DeathsApp.
“GUARDA, NON SEI CURIOSO?”
A fianco della scritta c’è un’emoticon, una di quelle faccette con varie espressioni che accompagnano i messaggi, definendone meglio il tono. Questo ha gli occhi spalancati neri e una selva di denti aguzzi che gli escono dalla bocca, simile a quella di un pescecane. Non l’ha mai visto prima ed è sicuro di aver guardato tutti quelli disponibili nell’applicazione.
«Fanculo.», mormora, rimettendo lo smartphone nel portaoggetti.
Resiste alla curiosità per un paio di chilometri, poi lo riprende e preme con il polpastrello del pollice sul riquadro del video, che questa volta parte. È una ripresa notturna, piuttosto confusa. Sembra fatta con un cellulare. Si vede un tratto di strada con un cavalcavia, lungo il quale passano alcune auto. Piove. Dopo una decina di secondi, una della auto in arrivo si sposta verso il guard-rail, lo urta ed esce di strada, carambolando contro uno dei pilastri di sostegno del cavalcavia. L’impatto è forte. Volano via pezzi dell’auto, che si spargono sulla carreggiata. Chi sta riprendendo la scena si avvicina all’auto accartocciata e ci gira intorno, per andare a inquadrare il finestrino del guidatore, ancora integro. Per un attimo si scorge un riflesso sul vetro, poi l’immagine si schiarisce. Si vede l’interno dell’abitacolo e la faccia dell’uomo, morto sul colpo, occhi e bocca spalancati e mezza faccia coperta di sangue.
«Cristo!», esclama Mauro.
Lascia cadere lo smartphone, che rimbalza sul sedile del passeggero e poi cade sul tappetino sottostante. Il cavo dell’auricolare pende molle, abbastanza lungo da non rimanere in tensione, nonostante lo smartphone sia ormai fuori portata per Mauro, che sente il cuore martellargli nel petto.
Ero io, pensa. Quello ero io.
Rifiuta di crederci, eppure l’uomo morto nel video aveva la sua faccia. E stava guidando lungo quella che sembrava un’autostrada, di notte e con la pioggia, proprio come sta facendo lui adesso. Tiene le mani salde sul volante. Lo stringe. Guarda fisso la strada, rallentando ulteriormente l’andatura per evitare rischi. Quel video lo ha spaventato sul serio, molto più dei messaggi stupidi che lo hanno accompagnato. Dubita che si possa trattare di un suo amico, che gli scrive, e non riesce a trovare una spiegazione per quella messinscena.
Un sobbalzo dell’auto, dovuto a una buca nel fondo stradale, fa spostare un po’ lo smartphone sul tappetino e questa volta il cavo dell’auricolare si tende, quasi strappandogli una delle cuffie dell’orecchio. Mauro lo afferra, nervoso, e tira verso di sé per recuperare lo smartphone, come se dovesse ripescarlo dagli abissi dell’abitacolo. Non distoglie lo sguardo dalla strada. Il cavo resta teso. Mauro dà uno strattone e quello si stacca dallo smartphone, incastrato da qualche parte. Seguendo lo slancio, lo spinotto lo colpisce a un occhio. Mauro impreca e, d’istinto, si tira indietro di scatto. Sta tenendo il volante con una mano sola. Perde la presa. L’auto sbanda e colpisce il guard-rail, sollevando scintille.
Mezzo accecato, Mauro tenta inutilmente di riprendere il controllo. Vede il cavalcavia venirgli incontro, uscendo dal buio e incombendo su di lui. Il tempo sembra rallentare. Mauro schiaccia il freno, ma il fondo è bagnato e l’auto esce di strada, le gomme inchiodate. Mauro grida, o forse sono le gomme che stridono su quell’ultimo pezzo di asfalto asciutto, sotto il cavalcavia. L’ultima cosa che vede è un pilone di cemento armato illuminato dai fari, poi ci sono solo lo schianto e il buio.