Come ogni lunedì, terminate le consuete ore di tedio scolastico, Marco prese il cinquantadue e rientrò a casa per il pranzo.
Ad attenderlo non trovò il solito calore. I genitori non si premurarono neppure di salutarlo.
Sua madre era intenta ad armeggiare con il forno: stava riscaldando le lasagne della sera prima.
Suo padre, che di solito rincasava in ritardo dall’ufficio per la pausa, trattenuto da qualche scartoffia dell’ultimo minuto, era già seduto a tavola, gli occhi fissi sulla pagina dedicata dal giornale locale allo sport.
“Ho preso sei in matematica” annunciò trionfante Marco.
Di tutta risposta gli venne posata davanti una porzione di lasagne, senza una parola di contorno. “Mamma, tutto bene?” chiese invano il ragazzo.
Si rivelò inutile anche rivolgere parola al padre: se ne rimaneva immobile, ipnotizzato dal quotidiano, quasi stesse analizzando delle complesse formule chimiche invece che i risultati delle partite di campionato.
Il giovane sentì salirgli un groppo in gola: era forse accaduta una disgrazia in famiglia?
All’improvviso il teso silenzio fu spezzato dal suono del citofono.
E fu proprio quel rumore gracchiante a far tornare alla mente del giovane l’intenso bagliore di luce biancastra esploso solo per un istante la notte precedente.
Si era svegliato di soprassalto trovando l’intera camera illuminata a giorno. O aveva solo sognato?
Il citofono continuava a gracchiare, costante e monotono.
“Chi risponde al citofono?” fece il giovane, scattando verso la finestra.
Doveva trattarsi di qualcosa di urgente: perché i suoi genitori rimanevano a tavola, impassibili?
Affacciatosi, Marco sporse il capo in direzione dell’ingresso, per capire chi stesse suonando con tanta insistenza.
Dalla strada due persone si sbracciavano e gli urlavano qualcosa, come se fosse lui in una situazione di imminente pericolo.
Due persone che in quel momento non dovevano trovarsi giù, non potevano trovarsi giù.
I suoi genitori.