Fin dall’età di dodici anni a Jane fu diagnosticata una rara malattia nella quale in ogni momento della giornata e in ogni luogo avrebbe potuto perdere i sensi. Lei, dopo quattro anni di sopportazioni, aveva rinominato quella malattia come “creatore di film horror” per gl’incubi che gli svenimenti le provocavano. Nessuno le credeva o le dava ascolto quando raccontava di vedere sempre gli stessi esseri dagl’occhi rosso sangue, la bocca larga e piena di denti aguzzi e quel corpo scarno e grigio, come affamato...
Erano le due di notte di un triste sabato sera, quando sentì per l’ennesima volta il suo cuore fermarsi, l’aria mancarle e gli occhi chiudersi, così si accasciò pesantemente a terra.
Aprì gli occhi e li vide. Erano lì a fissarla, come sempre, ma c’era qualcosa di diverso dal solito: una figura che sembrava quasi quella di... una donna. Essa si fece largo tra il gruppo di mostri e barcollando le si avvicinò annusandola profondamente.
Dopo qualche secondo emise un urlo che gelò il sangue a Jane. Era un richiamo. Tutti gli esseri le vennero addosso. Lei si alzò e si mise a correre in cerca di un posto dove nascondersi, ma il buio e la paura la accecavano. Chiamò i suoi genitori disperata, ma nessuno rispose.
Pensò che, essendo un sogno, per salvarsi sarebbe bastato immaginare se stessa salva, per esempio in un prato verde ricco di fiori. Chiuse gli occhi e quando li riaprì il suo desiderio era stato espresso. Era libera, felice sollevata. Davanti a lei apparse un foglio bianco con su scritto “vivere un incubo è come vivere la realtà”. Lo strinse tra le sue mani, dubbiosa, si voltò e la mandria di mostri la attaccò senza pietà.
La mattina seguente i genitori non trovarono nessuno nella camera di Jane.