Strisciava e si contorceva come un verme Teresa, annaspando in una melma rossa. Un chiodo sporgente le aveva sfregiato il viso e il profondo squarcio si era riempito di schegge, sfregando sulle assi grezze che costituivano il pavimento della casetta di legno.
Cercava disperatamente di arrivare al limite della piattaforma: volare giù dalla grossa quercia sarebbe stata una benedizione.
Le sue braccia erano accanto a lei, separate dal corpo, abbandonate come oggetti inutili. Alla bestia davano fastidio e gliele aveva strappate via col becco...
E adesso emetteva un cinguettio osceno, mentre una sottilissima lingua vibrava spuntando a tratti da un enorme rostro. La sua testa ornitomorfa scattava convulsamente da una parte all’altra, permettendo agli occhi cinerei, posizionati lateralmente, di alternarsi nell’osservarla senza lasciar trapelare emozione alcuna, se non una sorta di insopportabile curiosità.
Delle ali rimaneva solo la struttura; l’enorme corpo implume piagato da profonde ustioni.
E poi, accanto a quell’essere immondo, Giorgio, suo fratello!
Non aveva mai voluto accompagnarcela a vedere la tana di Gluk, né le aveva mai detto dove si trovasse esattamente. Teresa aveva pensato che fosse tutta una menzogna: la casetta sull’albero, e poi Gluk!
Si sbagliava.
Maledisse la sua malafede, che l’aveva spinta a seguirlo di nascosto, e pensò al criceto Din sparito dalla gabbietta, e a Rufy la micia...
Esplose nell’ennesimo grido, tanto forte da provocarle dolore ai timpani.
Ma Giorgio era del tutto indifferente. Anzi, le parve perfino di scorgere nei suoi occhi un barlume di soddisfazione quando Gluk, dopo un’interminabile fase di osservazione, si decise a muovere verso di lei.
E mentre il becco si fiondava sulla sua testa e picchiettava ripetutamente risucchiandola un pochino ad ogni colpo, mentre veniva ingoiata in un caldo e umido canale, l’ultima cosa che sentì fu la voce del suo fratellino:
«A domani Gluk.»