Si sveglia in preda all'agitazione, con la bocca impastata, pulendosi i denti con la lingua. La sera prima, nascondendo la fasciatura sotto il tavolo, rintanata nella manica della felpa, ha masticato in fretta e s'è ficcato nel letto senza nemmeno usare lo spazzolino. I suoi non si sono accorti di nulla.
La ferita gli duole: si è scarnificato il dorso fino a raggiungere l'osso, ma è sicuro che stavolta non ricrescerà.
«Cos'hai lì? Ma è un pelo! Uuuh, che schifo!»
Marinella è la più graziosa della classe e Nicolino si vergogna da morire. Bofonchia qualcosa a proposito dell'inchiostro e scappa a nascondersi, per strapparlo, gemendo di dolore. Quand'è cresciuto? E perché così grosso e scuro? Non ce li ha nemmeno, lui, i peli... Nessuno dei suoi compagni li ha!
Quando torna al banco, Gaetano sghignazza e gli dà di gomito. Nicolino si rassegna: lo prenderanno in giro per un po'. Per fortuna se l'è tolto subito, pensa, ma la mattina dopo il pelo è di nuovo lì. Anzi, non è uno, ma una manciata, e non fosse impossibile, direbbe che assomigliano a un ciuffo d'erba, anche nel colore. Li estirpa a fatica, e le piccole radici, umide di sangue, rafforzano quel pensiero. Ricrescono il giorno seguente, quello successivo, sempre più rigogliosi. Dopo una settimana è un prato in miniatura.
Esasperato, durante la ricreazione, ruba un compasso e scava, succhiando via il sangue, per non sporcare il banco.
Ansima, mentre con impazienza srotola la benda. Sui bordi, sotto il sangue secco, la crosta ha cominciato a regnare. Nicolino sorride, ma sente come un groviglio di capelli in bocca. Infila le dita, tocca, inorridisce. Usa lo spazzolino con ferocia, mastica, strappa, senza il coraggio d'offrire la gola allo specchio. Quando sputa nel lavandino, lunghi fili verdognoli si perdono nel turbinio dell'acqua.