Ogni giorno i carcerieri mi portano nella stanza della tortura e mi seviziano con dei ferri roventi.
Per ore urlo, piango e invoco pietà, fino a quando, stremato, perdo i sensi.
Non so più che anno è, ne quale colpa ho commesso per meritare una simile punizione. Non so nemmeno se in questa prigione siano rinchiusi altri sventurati come me.
Ogni giorno è uguale al precedente. Tranne oggi.
Oggi i carcerieri non sono venuti a prendermi. Durante la notte ho sentito delle urla, ma ignoro che cosa sia successo.
Che abbiano abbandonato la prigione dimenticandomi qui?
Per anni ho desiderato soltanto morire, ma adesso... adesso voglio vivere.
Nonostante il mio corpo sia ridotto a un ammasso di carne straziata, tempesto di colpi la porta. Il legno cede un istante prima che lo faccia io.
Il corridoio è deserto, e così le scale. Nella prigione regna un silenzio irreale.
Corro verso l'uscita, il cuore che mi abbaia nel petto come un cane affamato. Possibile che sia così facile?
Esitante, esco in cortile.
Il sole è una lama che mi penetra nel cervello. Cado in ginocchio, riempiendomi i polmoni di aria fresca. L'erba mi pizzica i palmi delle mani.
Sono libero. Libero!
Quando i miei occhi si abituano alla luce, mi accorgo che non sono solo. Alcuni carcerieri, orrendamente feriti, si aggirano per il cortile ciondolando come sonnambuli.
Riconosco il comandante della prigione. Ha la gola squarciata e gli manca metà faccia.
Il suo unico occhio è puntato su di me.
Mi volto per scappare, ma altri carcerieri mi si parano davanti. Ringhiano. Mi circondano.
Uno di loro mi azzanna al collo.
Mentre mi sbranano, maledico quegli aguzzini così ligi al dovere da essere riusciti, anche da morti, a infliggermi un ultimo supplizio.
Il supplizio della speranza.