Un ansimare sinistro, un latrato nella notte. Gli altri pastori e suo fratello glielo ripetevano da un po’. Ci sono i lupi, sono i lupi che sbranano le pecore. Appostato nel casotto degli attrezzi a lato dell’ovile, il fucile puntato, attendeva col gelo nel sangue di sapere la verità. Un mese prima si era appostato allo stesso modo per sparare ai lupi che avessero attaccato il gregge. Ma non aveva visto lupi. Quel che aveva visto l’aveva fatto sprofondare in un superstizioso terrore. Un essere interamente ricoperto di peli, con il muso ferino eppure con reminiscenze di lineamenti umani, aveva selvaggiamente attaccato il gregge e ucciso tre pecore, dopo essere entrato nell’ovile scavalcando la recinzione al modo di un uomo. Gli aveva sparato, ma i proiettili non avevano avuto alcun effetto sull’essere, solo si era allontanato dopo averlo fissato negli occhi, uno sguardo che raggelava il sangue. Ancora un latrato, un rumore di erba calpestata. Come un mese prima.
Un lupo mannaro, si era detto. Ma era una cosa che non si poteva neanche ipotizzare nel mondo della realtà. L’aveva però confidato all’amico armaiolo, che gli aveva preparato qualche proiettile d’argento. Superstizioso anche lui, si intendeva di queste cose. Ancora il latrato, poi una specie di ululato. Eccolo. Come un mese prima prova a scavalcare la recinzione dell’ovile. Ma ora ha l’arma giusta per affrontarlo. Prende la mira con calma e spara. Il mostro emette un verso gutturale, poi cade riverso sull’erba. Un belare disperato riempie l’aria della notte. Col fucile puntato si avvicina al mostro. Sta tornando umano. E’ suo fratello. Lo guarda fisso negli occhi, uno sguardo senza odio. “Ora tocca a te” gli dice, poi muore. Allora alza lo sguardo verso la luna piena. Non sa spiegarselo, ma è come se la vedesse per la prima volta.