Tocca a lei.
Nel bar aleggia un tanfo insopportabile. Il palo da lap dance sembra dividerle il corpo in due, dal mio punto di vista. Lo conosco bene quel corpo, cinque anni di vita insieme. Terminata in un lampo. Si muove, sensuale, intorno all’asta. Ricordo la sua pelle bianca. Il reggiseno, sganciato dalle mani tremanti, finisce sul legno del palco. Si struscia, erotica, si arrampica, imbeve il palo metallico del suo sudore di cui ricordo il profumo. Decine di mani si protendono verso le sue gambe, il suo sedere. Le mutandine, ultimo baluardo alla nudità, sono minuscole. Terrorizzata, continua il suo ballo lascivo, evitando il contatto delle mani che cercano di fondersi con la carne morbida delle sue cosce. Voci gutturali paiono apprezzare le curve di colei che era mia, solo mia.
E poi una mano le arpiona la caviglia. La bocca si accosta al polpaccio, il morso ne strappa una porzione, lasciando il muscolo rosso a lacrimare di sangue. Come un attacco di squali eccitati dall’odore della carne viva, la azzannano. Il grido della donna echeggia nel locale. Si aggrappa al palo, resiste, finché può. Mi avvicino, prendo parte al pasto. Il sapore del seno mi stuzzica. Tempo fa lo baciavo, ora lo mastico. Il mio vicino, assaporando il cuore, cola, dalle sue labbra in putrefazione, gocce rosse. Le mie mani, ormai quasi prive di carne, si impossessano degli occhi, dei suoi occhi azzurri. Anche l’ultimo soffio vitale l’ha abbandonata. Appartiene al regno dei morti, ora, come me, come tutti in questo locale.
Entra la seguente, bellissima, seminuda, terrificata, unico essere in vita tra i morti viventi. Dalla destra sento una voce spenta. Pronuncia un nome di donna.
- Se balli finché la musica finisce, ti salverai – dicono loro.
La musica non si fermerà.
Abbiamo tempo.
L’eternità.