Chiusi in casa. Abbiamo spento la luce, staccato gli elettrodomestici. Abbiamo smesso di parlare, non dobbiamo fare nessun rumore. La casa deve sembrare vuota. Io e mia moglie siamo chiusi nel nostro appartamento, immobili. E loro sono fuori, battono alla porta. Posso sentire i loro lamenti di agonia. E’ un suono che ricorderò per il resto della mia vita, probabilmente ancora breve. Grattano sulla porta come forsennati. Non ho idea di quanti siano. Almeno due. Fosse stato uno solo, avremmo potuto avere qualche speranza, ma i numeri hanno leggi spietate. Prima o poi entreranno, sono certo. Abbiamo tentato di sbarrare la porta, ma non è facile come nei film. Maledetta Hollywood, dove trovo pezzi di legno e una sparachiodi?
Stringo in mano un coltello, l’unico oggetto trovato in casa che si avvicini ad un’arma. Guardo la mia donna, sta piangendo in silenzio. Le dico di stare tranquilla, che tutto andrà bene. Lei piange più forte; mai stato bravo con le bugie. Loro continuano a colpire il portone, sempre più forte. Il legno inizia a scricchiolare e un goccio di urina bagna i miei boxer.
Do un’occhiata alla casa buia. La immagino com’era solo qualche settimana prima: luminosa e viva. Ricordo i momenti passati con mia moglie, le cene romantiche, gli esperimenti culinari, le notti passate davanti alla tv a fare l’amore, le litigate furiose che adesso sembrano futili idiozie. La porta sta per cedere. I loro lamenti diventano ringhi famelici. Ci accucciamo in un angolo vicino al termosifone. Do un bacio sulla fronte alla mia compagna, le dico che l’amo. La porta si sta sfondando. Stai tranquilla, amore mio. Stringo il coltello fra le mani come in preghiera. Sento la porta cedere. Sono entrati. I miei suoceri.
Ho ventiquattro anni e sono un laurando in legge. Di recente mi sono avvicinato al mondo della scrittura.