"Mio adorato..."
L'uomo stillava sudore nel suo pigiama già madido per l’atroce calura ferragostana, il lenzuolo si attorcigliava alle sue braccia, sinuoso tra le nude cosce sino al bacino; paralizzato in bozzolo serico come baco, i muscoli del collo bloccati dal terrore e da due candidi lembi di stoffa, quasi carezzevoli mani femminili, fissava il ritratto della Duchessa d’Aurevilly coronato di livida luce (quante assurde storie, da lui sempre derise, si raccontavano della relazione dell’insana nobildonna, forse vittima di stregonerie forse strega essa stessa, con un suo avo, quante altre ancor più folli sulla sua diretta discendenza proprio dal Barone de L'Isle-Adam...).
Il tessuto si increspò, gli parve di vedere ora incavate due pieghe ai lati superiori di una rigonfia curvatura che palpitava al ritmo del suo stesso respiro, quasi percepibile nella sua affannosa sensualità (illusione di un attimo però, dato che sua moglie giaceva assopita al suo fianco), due gemelle tiepide rotondità, quasi carnose (così le percepiva), danzavano delicatamente a fior di labbra.
Pochi istanti ancora e quei lievi tocchi lo avrebbero blandamente inabissato nella più totale follia, quando invece, riuscendo a liberare la mano destra dalle volute sempre più concitate di quella terrificante presenza, riuscì ad afferrare con un brusco movimento un antico pugnale dal cassetto di un mobiletto, insperatamente trovato aperto.
La sua vista improvvisamente riemerse a rivedere i colori della notte, la morsa si allentò e la succuba scivolò alla sua sinistra strisciando lungo il suo corpo e lasciandogli per pochi attimi sulla pelle un leggero formicolio, ma il panico non aveva ancora dismesso il suo feroce vassallaggio: con uno scatto si inarcò sul fianco e brandì la lama con furore a lacerare il lenzuolo.
Una macchia affiorò, si espanse sino a tingere due floridi seni di rosso carminio.
“... per sempre insieme.”