Lui mi stringe forte, sempre più forte.
Lei è così bella, non vorrei colpirla ma devo farlo.
Le dita della mano sinistra allentano un po' la presa, si sgranchiscono per un attimo prima di tornare a stringere.
Lei ha paura, urla come non ho mai sentito urlare nessuno.
Beh, a dire il vero è la mia prima volta: è la prima volta che mi appresto a colpire un essere umano. Finora sono stati solo animali, le mie vittime: cani, gatti, lucertole, ogni piccolo essere vivente mi capitasse a tiro.
Non ho mai colpito qualcosa di così grande, non ho mai colpito qualcosa di così... umano.
Lui mi guarda, un sorriso timido, gli occhi che esprimono tutta la sua incertezza, le mani che sciolgono piano la stretta.
“Non devi mollare ora!” penso, “Non puoi rinunciare proprio adesso.”
Lei è lì, piange, con la schiena al muro, seduta sul pavimento di linoleum azzurro. Gli chiede di risparmiarla, di avere pietà: non sa che dovrebbe parlare con me.
Lui mi guarda e nei suoi occhi vedo passare un lampo d'odio e di follia.
Le mani stringono di nuovo. Mi tira indietro, per poi farmi scattare in avanti, veloce.
Durante quel breve momento immagino di entrare nella sua carne, immagino il sapore del suo sangue, il suo calore,...
Il colpo mi fa tremare, mi rimbomba in testa. Le mani mi lasciano e mi accorgo di non essere dove avrei voluto. Sapore di legno, di residui di cibo e detersivo: quel cretino ha colpito il tavolo, quel cretino ha rinunciato a uccidere, era troppo per lui.
Se potessi piangerei: nemmeno stavolta ho potuto assaporare la carne umana.
Purtroppo per me, però, sono solo un'accetta e, come tale, devo accettare, in ogni senso, quello che mi capita davanti, a dispetto della mia volontà.