Sto iniziando a sudare e mi gira un po' la testa, ma per il resto sto bene.
Pensavo che sarebbe stato più rapido. E più doloroso.
Non è come nei film. E' tutta un'altra cosa.
Mi sono sempre chiesta a cosa pensasse una persona in questa situazione.
Ora lo so, ed è strano.
Appena ho avuto la consapevolezza di quello che sarebbe accaduto, ho pensato a lui.
Gli ho mandato un messaggio ed abbiamo deciso di vederci.
Non gli ho detto cosa mi sta succedendo.
Non voglio che decida di vedermi solo per questo.
Sono salita in macchina ed ho guidato, senza quasi accorgermi di dove stessi andando, con la musica a tutto volume.
Mi sento la febbre, ho mal di testa, mi tremano le gambe.
Spengo l'auto e mi slaccio la cintura. Mi ha dato fastidio per tutto il viaggio, come se mi togliesse l'aria.
Il parcheggio è quasi vuoto a quest'ora.
La luce calda dei lampioni proietta strani giochi di ombre attraverso una nebbia leggera.
Davanti a me un grande edificio che negli anni mi è diventato familiare.
Ci ho passato molte ore della mia vita, lo so, ma non ricordo quando o perché.
Non ricordo che posto sia. La memoria vacilla.
Per un attimo non ricordo neanche perché sono qui, poi vedo i fari di un'auto che si avvicinano.
Lo riconosco e sorrido.
E' da molto che non ci vediamo.
Mi guardo nello specchietto. Si vede che non sto bene. Chissà se se ne accorgerà.
Scendo dalla macchina e mi ricordo dove sono.
Quell'edificio... è la biblioteca, certo. Ecco perché era così familiare.
Lo vedo avvicinarsi.
Non è cambiato molto. Forse solo la sua espressione è un po' più dura rispetto a qualche mese fa.
Cerca di sorridermi, ma non ci riesce. Lo capisco.
Indossa un paio di pantaloni mimetici, una maglietta verde militare e un paio di anfibi.
Alla cintura è attaccata la fondina con la pistola.
Immagino che non esca più senza, da quando...
Un giramento di testa mi fa perdere l'equilibrio.
Lui si avvicina e mi sorregge.
Mi mancavano le sue mani.
Il suo sguardo si sofferma sul mio braccio.
L'ha visto.
Si allontana di scatto e tira fuori la pistola.
“Cazzo. Ti hanno morsa!”
Vorrei dire qualcosa, ma non riesco a parlare.
”Quando... esso? ... enti? Ehi... mi senti? Quan... è su...?”
Scuoto la testa. Non capisco. Non sento.
Ho una gran confusione in testa.
Sto male. Le gambe mi cedono e finisco in ginocchio sull'asfalto nero del parcheggio.
Mi punta contro la pistola.
Già. Non c'è altro da fare a questo punto.
Ha ragione. E' l'unica scelta possibile.
”Non vorrei farlo, ma sai anche tu che... non posso lasciarti andare in giro ad azzannare la gente, capisci...”
Certo. Non lo fa per non farmi soffrire. Lo fa per salvare il mondo.
Lo fa perché uccidere gli zombie è la sua unica ragione di vita.
Lo fa perché per anni ha sperato che accadesse, perché si è preparato con tutte le sue forze ad affrontare tutto questo, lo fa per essere un eroe.
Non lo fa perché mi ama. Non mi ha mai amata, non mi ha mai considerata.
Forse questa è la mia unica occasione per significare qualcosa per lui.
Sento il freddo del metallo della pistola sulla mia fronte.
Lo guardo negli occhi e, improvvisamente, non vedo più nulla.