Qualcos'altro...

Racconto per il concorso "Premio Scheletri", 2014 - edizione 6

Ci era finito quasi per caso in quella cella, quasi per caso era stato coinvolto nel rastrellamento, sorpreso chino su un soldato moribondo immerso in una pozza di sangue: lo avevano creduto forse uno sciacallo o l’assassino di quel pingue ufficiale con la gola squarciata, se non addirittura un odiato nordista, nella fottuta guerra senza senso tra soldatini blu e soldatini grigi.
Rannicchiato al buio in un angolo della prigione, ma in realtà un’immensa grotta dove alcuni budelli erano stati trasformati in anguste cellette singole saldandovi all’imboccatura una pesante grata, tremava per l’umidità che emanava la roccia alla quale stava incollato, evitando di occupare la parte di pavimento illuminata dalla lampada ad olio poggiata su un tavolaccio del posto di guardia a circa un paio di metri di distanza.
Scheletrito e pallido a guisa di un lenzuolo, anzi... di una benda, poiché non rare erano le bende attorno al capo o agli arti di soldati feriti che transitavano lungo il corridoio, ma erano bende intrise di sangue di uomini liberi che lui ogni volta seguiva avido con lo sguardo.
Era ormai da dieci notti intrappolato lì, ma non avrebbe saputo dirlo con certezza, dato che mancava anche la benché pur misera finestra che gli avrebbe permesso di rivolgere il volto verso la consolante luna in cielo.
I morsi della fame gli rodevano le interiora, come zanne di lupo nel ventre di un cervo che giace inerme con una zampa spezzata.

Una ferita profonda all’avambraccio sinistro denudava una parte d’osso ed era causa per lui di atroce dolore: cercò di tamponarla imprimendovi le labbra aride e screpolate mentre cercava di raccogliere nel palmo della mano destra le poche gocce di sangue che ancora fluivano dalla piaga, alcune delle quali finivano però in una chiazza di sangue raggrumata al suolo.
Ormai prostrato dalla fame e dalla sofferenza, percepì a malapena la campanella del rancio giornaliero e vide una corpulenta sagoma oscurare l’apertura della cella; con uno sforzo tremendo sospinse il suo corpo in avanti ma inciampò e cadde goffamente, la sua guancia sinistra sbatté a terra mentre una mano grassoccia si allungava all’interno di quella bara calcarea: ebbe solo il tempo e le forze per tendere la mano imbrattata di sangue e sfiorare quella del soldato che, schifato, per reazione, la ritrasse con un grugnito lestamente... un’estrema richiesta di aiuto, una disperata supplica per qualcos’altro da mangiare...
Prese la graveolente zuppa di cavolo, la rovesciò a terra e con il bordo sottile e tagliente del piatto metallico tentò di segare freneticamente la porzione in apparenza più polposa della coscia sinistra, ma un urlo straziante lacerò la sua anima appena la lama arrivò a contatto con i nervi.
Poche gocce di sangue appartenevano ormai al suo corpo.
Si piegò a berne, confisse i canini per quanto poté...
Ma il velo della morte annebbiò ben presto i suoi occhi, appena solcati dall’immagine di un pipistrello che sfuggiva verso l’uscita della caverna...

Gianantonio Nuvolone