Aveva provato di tutto. Per prima cosa, naturalmente, aveva ricreato un’atmosfera più adatta, prediligendo l’orario serale e scegliendo idoneo sottofondo musicale. Si era quindi convinto di cambiare strumento per scrittura, passando alla sua vecchia Olivetti, che in un passato ormai remoto così tanto bene si era comportata. All’ipnotico lampeggiare del cursore, tuttavia, si era semplicemente sostituita la desolazione del foglio bianco.
Questo il suo tormento: l’avere tante storie in mente da raccontare, senza riuscire ad esprimere nulla. Migliaia di personaggi le cui sventure chiedevano di essere portate alla luce. Centinaia di terre desolate in attesa di essere esplorate. E poi i mostri, decine di mostri, a voler considerare soltanto i più pericolosi.
Impossibile continuare così. Si sentiva vittima di una così speciale malattia, tanto conosciuta quanto difficile da curare: il blocco dello scrittore. Evidentemente, a mali estremi dovevano corrispondere estremi rimedi: bisognava ridurre la pressione per curare quelle terribili emicranie di cui ormai era vittima. Nessun tipo di medicina era stata in grado di alleviare i sintomi della sua sofferenza, che sempre più spesso lo costringeva al riposo forzato.
Proprio nel buio e nel silenzio, l’idea si era fatta strada. Dopo lunga e accurata ricerca, aveva pianificato tutto nel dettaglio, tracciando schemi nero su bianco, senza neppure rendersi conto che durante questa febbrile attività il dolore veniva ricacciato indietro, tanto da poter tornare a vivere in modo per così dire normale.
In fondo, il concetto era banale: si trattava di una pratica utilizzata già nell’antichità e con mezzi ben più rudimentali. Tenendo al fianco i fogli con gli appunti, scese in laboratorio dove aveva tutti gli attrezzi necessari. Per prima cosa, serrò il corpo del trapano elettrico nella morsa, in modo che fosse ben saldo. Quindi regolò al minimo la velocità di rotazione, scegliendo poi la punta più adatta. La parte più delicata era la scelta corretta della profondità, ma bisognava soltanto essere precisi e il risultato era garantito: utilizzò allo scopo degli appositi distanziali graduati. Tocco finale, un elastico intorno all’impugnatura del trapano, per tenere premuto l’interruttore.
Quando avvicinò il cranio allo strumento, i fogli disposti intorno a lui divennero rossi di sangue. Aveva superato il blocco dello scrittore, la desolazione del foglio bianco era d’un tratto sparita. Ma di certo gli fu impossibile gioirne, perché la punta del trapano, dopo aver perforato il cranio, gli devastò anche il cervello.
Il danno era irreparabile e lui morì nell’operazione, accasciandosi al suolo con un ultimo grido.
Nessun soccorritore ebbe occasione di vedere una sottile nebbiolina abbandonare il cranio trapanato. Quella era la mia essenza, finalmente libera di uscire dalla prigione della carne. Ancora non avete capito chi sono? Il demone della scrittura, ovviamente. Da buon parassita, mi soffermai a guardare dall’alto il mio defunto ospite. Aveva svolto molto bene il suo lavoro, almeno per qualche tempo: finché non aveva esaurito il suo potenziale, incappando nel blocco dello scrittore. Avevo sofferto così tanto, a stare imprigionato lì dentro, mentre invano cercavo di spingere per uscire. Questo finché sono riuscito insinuare la tragica idea a livello inconscio.
Invero, era stato ottuso ad ignorare una verità tanto essenziale: la pratica della trapanazione del cranio era utilizzata fin dalla notte dei tempi per far uscire gli spiriti maligni dalla testa dei malati. Mi aveva ridato la libertà. Adesso potevo cercare un nuovo ospite, il quale avrebbe creduto di trovare una vena creativa. Senza sapere che sarei sempre stato al suo fianco. Che ogni sera gli avrei rimboccato le coperte, per poi accompagnarlo alla scoperta di nuovi mondi. Che ogni notte avrei sussurrato nelle sue orecchie le stesse parole che il giorno dopo avrebbero preso vita.
Mentre ero lì in attesa, ancora rimirando i risultati del mio operato, sentivo dei passi in avvicinamento.
Presto, molto presto, tutto sarebbe ricominciato.