Resto paralizzata mentre qualcosa si insinua in me sfruttando ogni orifizio. Non riesco a respingerla. Soccombo. Mi guardo allo specchio. Il mio volto è innaturalmente contratto, i miei occhi mi sfidano. Ringhio a me stessa e della bava schiumosa mi cola dalla bocca.
Sulla mensola sotto la specchiera vedo delle lamette. Ne prendo una e me la porto a un polso. Non ho paura di quello che sto per fare. Non quanta ne ho del mostro che vedo nel mio riflesso. Sono pronta a premere la lama sulla carne, ma qualcosa mi trattiene. Non ci riesco. Una forza che non conosco non vuole che lo faccia.
La mia bocca si schiude e parla con una voce che sembra provenire da un’oscura profondità: «Questo corpo è mio!» dice.
Mi sorrido e i miei occhi si infuocano. Provo di nuovo ad affondare la lama, ma la forza che impiego mi si ritorce contro e va in altra direzione. Mi sferzo la faccia. Il mio sangue sporca la ceramica del lavabo. Rido con una voce che non conosco. La lametta mi cade e si tuffa nel rosso. Scorgo un paio di forbici. Una forza brutale mi scaraventa indietro. Colpisco la parete alle mie spalle e cado a terra. I miei arti si contorcono e si intrecciano tra loro. Mi inarco. Il dolore è atroce e lo grido tutto, ma Colui che mi domina non intende mollarmi. «Non ti lascerò», dice con le mie corde vocali.
Ma poi arriva mio marito, richiamato dalle grida, e Lui improvvisamente mi libera. Ho il tempo di rialzarmi e prendere le forbici; me le conficcherò nel petto. Ma la mia mano all’ultimo si ribella. Questione di attimi e il collo di Luigi è squarciato da un capo all’altro.
Ed io rido, mentre la mia anima piange.