Quella donna è parte di me.
Ma non abbastanza.
Si agita fra i miei muscoli, nelle pieghe più nascoste della mia carne.
Ma la sento ancora distante.
Fa il bagno nel mio sangue e beve avidamente i miei umori, si nasconde sotto la pelle, ridendo del dolore che provocano i suoi movimenti privi di grazia.
Ma tutte le mattine è in mezzo alle sue amiche, deridendomi con ammiccamenti volgari e gesti di scherno, quando mi vede passare, delirante di desiderio, dai cortili dell'università.
E' un parassita che giorno e notte strappa con le sue unghie brano a brano le mie interiora, brucia con bava acida i miei polmoni che tossiscono il mio odio per lei. Vorrei farla smettere, vorrei che l'amore che una volta provavo per lei, cessi di torturarmi.
Amo essere fonte di nutrimento per lei, ma nel contempo il suo alito è promessa di vita, godo nel guardarla silenziosamente in ogni momento della giornata, come una bolla sulle labbra che ogni attimo tormenti, saziandoti del piacere del dolore.
Lei mi legge dentro, sa cosa provo e sa che l'orgasmo maggiore è suscitare la mia bramosia, ma tenendosi a distanza da me, godendo della mia sofferenza.
Da lontano, la osservo baciare le sue amiche, con futili promesse di rivedersi il giorno dopo; la seguo, con calma, attendo il momento propizio, mentre il mio stomaco pulsa ferocemente quando il profumo di lei lo raggiunge. Le arrivo alle spalle, silenziosamente, le metto una mano sulla bocca e le taglio la gola, senza che lei emetta un solo sussurro. Poi mi piego sul corpo ancora caldo, preda degli ultimi spasmi, la vedo muovere le labbra. Vorrebbe dirmi qualcosa. Le sorrido, accarezzandole il viso dolcemente. Le dico che è tutto a posto, che adesso sarà in me, per sempre.
E comincio a mangiarla.