Il pozzo capovolto

Racconto per il concorso "300 Parole Per Un Incubo", 2013 - edizione 12

Croste di calce sul pavimento, una scala abbandonata, pennelli sporchi in ammollo, spatole soffocate tra gli stracci. Giorgio indica il soffitto con un sorriso. «Visto?»
Sono muto sotto queste pietre che sfidano la gravità: il pozzo capovolto sventra le travi del soffitto e mi guarda indecifrabile con il suo occhio cieco.
«Costruito con le mie mani», continua.
«Perché?»
«Era scritto nei muri».
La saliva mi impasta le labbra. «Ma... perché?»
Giorgio fa spallucce. «Volevo capire cos’era. Se qualcuno ha inciso quelle istruzioni...»
«Tu continua a ristrutturare questo rudere. E coprile».
Ride sottovoce, fa segno di avvicinarmi, si volta. Il cranio è aperto, due grosse mandibole si muovono meccanicamente, le articolazioni schioccano alternandosi l’una all’altra. Frammenti d’osso spingono per forare la pelle, il cervello è forato da un becco incrostato di verde. «Mi sono spuntate ’ste cose...»

Quando mi risveglio, ricomincio a vomitare. Dal pozzo pende una catena di carne, gli anelli incollati con grumi infetti. Inginocchiato, Giorgio attende: le mandibole affamate inghiottono la catena, la carne in eccesso trabocca come rigurgito nero.
E dallo squarcio, piano, cala una statua impossibile. Una bestia seduta, il volto nascosto tra gambe e braccia incrociati, tubi cartilaginei come capillari si alzano sulle sue spalle. Lentamente, schiaccia Giorgio, il suono delle ossa spezzate mi scoppia nelle orecchie, e io non posso fare niente.
L’impatto degli zoccoli sul pavimento ricoperto di frattaglie, il grugno taurino, una selva di chiodi come criniera. La coda schiocca, vibra di odio.
Il dio solleva un braccio, sembra aprire una ferita, fiotti di sangue secolare bagnano il pavimento. Una bocca sull’addome, labbra violacee, di pietra. Mi parla in una lingua incomprensibile, vocaboli di catarro e fuoco.

Mi fermo sulla porta, sospiro, inutile scappare: sul petto ho quattro sporgenze, mandibole del diavolo che macinano tessuto e aria.
Nuove catene scendono dal pozzo.

Simone Corà