Buio. Non vedo a un palmo dal mio naso.
Sono sdraiato a pancia in su. E’ così stretto che non riesco neppure a girarmi su un fianco.
Buio e silenzio. Sento solo il mio respiro.
Mi hanno chiuso qui dentro. Allungo una mano fino a toccare la superficie liscia a pochi centimetri dal mio volto.
Buio, silenzio e freddo. Tremo. E’ umido.
Alla fine hanno trovato il modo di liberarsi di me. Avrebbero potuto pensarne uno meno atroce di seppellirmi vivo. Non rivedrò più i miei piccoli.
Sento delle voci. Trattengo il respiro per ascoltare meglio. Si stanno avvicinando.
“Ehi John, guarda la terra in quel punto, sembra smossa da poco.” - dice qualcuno.
“Forse ci siamo.” - grida un altro.
“Presto, inizia a scavare. Sempre che non sia troppo tardi.”
La voce è sempre più vicina.
“Sono qui, aiutatemi!” - grido, ma quello che esce dalla mia bocca assomiglia più un verso di un animale in gabbia.
Non credo mi abbiano sentito. Stanno scavando.
“John, presto, vedo la cassa. Passami il piede di porco. Quei bastardi l’hanno inchiodata.” - grida la voce sopra di me.
Resto in silenzio.
Dopo pochi secondi, la lama di luce di una torcia elettrica taglia l’oscurità davanti ai miei occhi.
“Mio Dio, cos’è questo…” furono le ultime parole che disse il tenente Kevin Malcolm. Uno strano essere balzò fuori dalla cassa azzannandolo alla gola.
La recluta John Fredricks, incredula e spaventata da quella visione, esitò ad estrarre la pistola d’ordinanza. Scappò via, ma la belva che avevano appena liberato lo assalì alle spalle.
La creatura si allontanò passando tra i corpi dilaniati dei suoi salvatori, mentre la luna piena le illuminava il cammino verso la libertà.
Ho 39 anni e sono laureato in Ingegneria Elettronica. Lavoro in una società di telecomunicazioni e ogni tanto mi dedico alla scrittura racconti brevi.