Il fantasma tornò quella notte stessa.
L’esorcismo di Padre Martino non aveva ottenuto l’effetto sperato di allontanarlo per sempre da quella casa.
Egli si rivolse ai coniugi Brandford con voce bassa e minacciosa.
“Mi avete mancato di rispetto. Avete insidiato la mia casa con la vostra presenza e avete cercato di sbarazzarvi della mia con i vostri riti religiosi. Per punirvi, domattina mi prenderò l’affetto più caro della vostra unica figlia.”.
Marito e moglie andarono a letto agitati, consapevoli che il giorno seguente uno di loro sarebbe morto e la loro piccola Cecilia sarebbe rimasta orfana del genitore da lei più amato, mentre il sopravvissuto avrebbe così scoperto di non essere il suo prediletto.
Il mattino dopo, i due consorti erano ancora lì, entrambi vivi e sollevati.
L’anatema mortale non si era compiuto.
Ma mentre facevano colazione, dal piano di sopra si udì un urlo disperato.
Balzarono in piedi, allarmati, e videro la figlia correre in cucina con un fagottino pulsante tra le braccia. Il suo siamese era in agonia tra mille spasmi.
- Gigi... Gigi sta male! - gridò, tra i singhiozzi - Mamma, aiutalo!
I genitori guardarono sconvolti la bestia sofferente. Quindi era il gatto l’affetto più caro della loro bambina! Non loro...
Il capofamiglia prese il micetto dalle mani della figlia e lo scosse piano.
Gigi si lamentò e con un ultimo sussulto vomitò sangue e denti sull’uomo, inzuppandogli la camicia. Colto di sorpresa, il signor Brandford guardò prima la macchia sul suo completo da ufficio e poi il felino che, con gli occhi spalancati e vitrei e la bocca sanguinante e sdentata, non respirava più. Cecilia scoppiò a gridare.
La macchia di sangue si allargò sul petto del padre, mentre lui, vedendo sua figlia disperarsi per la morte del micio, avvertì il proprio cuore sanguinare.